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Banche tedesche, scandalo alla Bce: ecco come favoriscono Berlino

Michele Zaccardi
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L'ultimo caso risale alla fine del 2019, quando il governo tedesco ha deciso di salvare la Landesbank Nord Lb, un tempo settima banca del Paese con oltre 150 miliardi di attivi. L'operazione, va detto, ha ottenuto il benestare della Commissione Ue. Eppure l'intreccio opaco tra norme europee e soldi pubblici rimane. Tra il 2008 e il 2013 Berlino ha speso 64,2 miliardi di euro (contro i 6,1 dell'Italia) per ricapitalizzare i propri istituti di credito che, imbottiti di titoli tossici e debito greco, rischiavano di saltare, 80 per rafforzarne i bilanci e altri 335,4 sono stati usati come garanzie. Insomma, il governo tedesco, al contrario di quello italiano, è intervenuto in modo massiccio.

 

 

Per questo quando a giugno 2013 l'allora premier Enrico Letta annunciò trionfante l'accordo raggiunto in sede europea sulla direttiva Brrd sulla gestione delle crisi bancarie, furono in molti a storcere il naso. Tra le novità c'era infatti anche il famigerato bail-in, fortemente voluto dalla Germania, una norma che impediva il salvataggio con denaro pubblico degli istituti di credito. Dopo aver tolto le castagne dal fuoco alle proprie banche con i soldi dei contribuenti, Berlino impediva agli altri di fare lo stesso. Ma c'è di più. Bisogna infatti considerare anche la peculiarità di un sistema bancario in gran parte non soggetto alla vigilanza della Bce.

Secondo l'ultimo report di Francoforte, gli istituti tedeschi esenti dai controlli degli sceriffi europei nel 2021 detenevano circa il 40% delle quote di mercato (per l'Italia la percentuale era del 12-13%). Si tratta degli «enti meno significativi» che sono sottratti alla vigilanza unica e che ricadono sotto l'ombrello delle rispettive autorità nazionali. In Francia sono 103, in Italia 140 e in Germania ben 1.292 (nel 2021 quelli tedeschi rappresentavano il 53,6% del totale contro il 6,5% di quelli italiani). Un numero che, vista la sua enormità, suscita più di qualche interrogativo. Anche perché il fatto di rientrare o meno nella vigilanza della Bce è importante soprattutto in relazione al destino che attende la banca in caso di difficoltà. Spetta infatti al Comitato di risoluzione unico con sede a Bruxelles decidere come gestire la crisi degli istituti di maggiori dimensioni e, nel caso, se lasciarli fallire. Ma le anomalie non sono finite.

 

 

 

La Germania è infatti un'eccezione tra i Paesi occidentali pure per il capillare controllo esercitato dallo Stato e dalle sue propaggini sul sistema bancario. Secondo il Fondo Monetario, soltanto il 43% degli attivi totali è detenuto da banche che possono essere ritenute a tutti gli effetti private (basti pensare inoltre che il secondo istituto del Paese, Commerzbank, è controllato al 15% dal governo). Il resto è tutto un conglomerato di enti pubblici o para-pubblici. Ci sono le sei Landesbanken, possedute dagli Stati-Regione e le 377 Sparkassen, le casse di risparmio nei cui consigli siedono rappresentanti di comuni ed enti locali. A queste vanno aggiunte le Raiffeisenbanken, ovvero l'analogo delle nostre banche di credito cooperativo. Inoltre, come sottolinea l'Fmi, la concorrenza del settore bancario tedesco è limitata dal fatto che sia le Sparkassen sia le Raiffeisenbanken operino soltanto in determinate aree geografiche (per le prime fissate dai governi locali). In un'Europa che si vuole sempre più integrata a livello normativo e regolatorio, la Germania sembra una vera e propria eccezione. 

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