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Spread vota Meloni, crolla il differenziale: smentita la sinistra

Sandro Iacometti
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Fulmini e saette. Tempeste ed uragani. C'era chi era pronto a scommettere che ai mercati finanziari sarebbe bastato vedere Giorgia Meloni a Palazzo chigi per scatenare il finimondo. Per non parlare delle prime mosse sulla finanza pubblica. Una volta messe sul tavolo le misure sfasciaconti annunciate in campagna elettorale, dicevano i gufi, spesso andando a raccontare queste cose anche oltre confine, per assicurarsi che all'estero fossero ben consci del pericolo, la speculazione sferrerà un attacco ai nostri titoli di Stato e alla nostra Borsa in grado di mandare il Paese gambe all'aria.

A forza di ascoltare fandonie in giro qualcuno, vedendo il risultato delle urne, si è spaventato davvero. Nei giorni immediatamente successivi alle elezioni del 25 settembre lo spread, che sul finire dell'estate viaggiava sui 230 punti si è impennato fino a 250. Fiammate che si sono, però, interrotte nella seconda metà di ottobre, quando il centrodestra ha presentato la squadra di governo e si è recato al Quirinale (era il 22) per il giuramento.

 

 

 

 

Da allora il differenziale tra Btp e Bund ha iniziato a scendere. E non si è più fermato. Neanche quando è arrivata, un paio di giorni fa, la terribile manovra targata Meloni. Fulmini e saette? Piuttosto raggi di sole. Ieri, nella prima giornata di contrattazioni dopo l'illustrazione della legge di bilancio da parte del governo i nostri Btp sono andati a ruba. La flessione dei rendimenti dei titoli italiani è risultata a fine giornata la più cospicua tra i bond sovrani dell'eurozona scambiati sul mercato secondario Mts. Il differenziale dei titoli di Stato decennali con gli omologhi tedeschi è sceso dai 193 punti di martedì a 186, mentre il rendimento, che in mattinata segnava il 3,95%, ha intrapreso nel corso della giornata una rapida discesa che lo ha portato fino al 3,76%. Si tratta, tanto per intenderci, di un valore inferiore di oltre 60 punti rispetto ai livelli di un mesetto fa, quando il governo non si era ancora insediato. Per trovare qualcosa di simile bisogna tornare indietro fino al 12 maggio, quando lo spread chiuse a 185 punti. Un periodo temporale che non va calcolato in settimane o mesi, ma in ere geologiche.

A maggio, infatti, la Bce ha annunciato il suo primo rialzo dei tassi di interesse dopo ben 11 annidi allentamento monetario. Il 21 luglio, con la prima stretta dello 0,50%, associata alla chiusura dei rubinetti sui programmi di acquisto dei titoli di Stato che hanno fatto da scudo ai debiti sovrani durante la pandemia, è finita un'epoca e se n'è aperta un'altra. Da allora gli investitori sono tornati a guardare con sospetto i bond di un Paese con il secondo debito pubblico (dopo la Grecia), facendo risalire lo spread fino a picchi di agosto e di metà settembre. La diffidenza, guarda un po', si è interrotta proprio a fine ottobre, quando sono ripartiti gli acquisti.

 

 




COINCIDENZA O FIDUCIA?

Un caso? Una coincidenza? Tutto può essere. Così come può essere che da domani i Btp tornino a ballare, spaventati da chissà quale annuncio della Fed americana o della nostra Bce. Quello che però oggi ed ora ci dicono i mercati è che la "manovrina" messa a punto dalla Meloni, dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e dall'esecutivo di centrodestra, cauta, prudente e mirata sui ceti più deboli, proprio come aveva chiesto Bruxelles per tenere i conti in ordine, dare un sostegno alle fasce sociali più in difficoltà e non alimentare la spirale inflazionistica, che costituisce la principale minaccia, non solo non ha spaventato nessuno dalle parti di Piazza Affari, ma è addirittura piaciuta. Niente timori anche tra i mercati azionari, con il Ftse Mib, il principale indice di Borsa, che dal 26 settembre ha guadagnato quasi il 17%, dopo aver perso il 22% dal primo gennaio fino al giorno delle elezioni.

Per carità, gli investitori finanziari se ne fregano della politica e dell'Italia e pensano solo ai loro affari. Ma è proprio questo il punto: significa che l'Italia, con tutto il suo governo di poste neo fascisti, di vecchi attrezzi leghisti e di irriducibili berlusconiani è considerata un buon affare. Se poi non vogliamo fidarci di chi fa soldi coni soldi, diamo un'occhiata a quello che è successo qualche giorno fa con la 18esima emissione del Btp Italia.

I piccoli risparmiatori italiani, a cui è stata dedicata una parte del collocamento, hanno deciso di investire sul bond indicizzato all'inflazione oltre 7 miliardi di euro. Il Tesoro alla fine ha raccolto quasi 12 miliardi. Un buon risultato. Ma quei 7 miliardi di piccoli acquisti (in media 20mila euro) rappresentano il record di tutti i Btp Italia, eguagliato solo nel 2020, quando la popolazione era chiamata a sostenere con il suo prestito le misure anti-Covid varate dal governo. Per essere un esecutivo che doveva scatenare il panico, il risultato sembra più che accettabile.

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