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Sergio Mattarella smentisce ancora "Repubblica" e "Stampa"

Tommaso Montesano
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E due. Il Quirinale smentisce ancora Repubblica. Dopo il «divertito stupore» di aprile sul colloquio Mattarella-Draghi in funzione anti-Meloni, dal Colle ieri è arrivata la sconfessione sulle presunte pressioni all’indirizzo di Palazzo Chigi a proposito del “dossier Tim”. Un passo indietro. Ieri il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, in un articolo dedicato alla partita per il riassetto degli equilibri nella società di telecomunicazioni, ha rivelato che la presidenza della Repubblica «avrebbe raccomandato al governo di agire con prudenza, evitando scontri» con il socio francese di Vivendi, che detiene il 23% di Tim.

Una moral suasion finalizzata a evitare tensioni con Parigi, che non a caso reclama «l’avvio di un dialogo serio» con Vivendi per arrivare a una «soluzione concreta e realizzabile» per Tim. «È una notizia totalmente infondata», ha smentito l’ufficio stampa del Quirinale, sollecitato sul tema dall’agenzia Agi. Stavolta, almeno, il tono della presidenza della Repubblica non è stato irridente come quello utilizzato lo scorso 3 aprile, quando oggetto della rampogna furono entrambi i quotidiani del gruppo Gedi: La Stampa, oltre al quotidiano di Molinari.

 

NESSUNA PRESSIONE
Anche qui è necessario ricostruire la vicenda. È lunedì 3 aprile quando il giornale diretto da Massimo Giannini spara in prima pagina la notizia che sul Pnrr sarebbe andato in scena un vertice a tutto tondo tra il predecessore di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, Mario Draghi, e lo stesso Mattarella. Al centro del colloquio, che sarebbe avvenuto proprio mentre infuriava la polemica tra l’esecutivo e Bruxelles sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, non solo i «nodi del Piano», ma anche i «rapporti con l’Ue», la «situazione economica» e le «possibili reazioni dei mercati finanziari». Chiaro l’intento di rappresentare l’esecutivo in difficoltà, sottoposto a un commissariamento di fatto.

Con l’ex premier Draghi, costretto a lasciare ilpasso a Meloni dopo le elezioni di settembre, dipinto come ancora in sella e intento a muoversi dietro le quinte con il placet del Colle. Il vertice sarebbe andato in scena tra mercoledì 29 e giovedì 30 marzo, prima del consulto che sugli stessi dossier Meloni avrebbe avuto con Mattarella.

Un retroscena potenzialmente esplosivo, tale da terremotare le relazioni istituzionali tra Quirinale e Palazzo Chigi. Una notizia, non a caso, ripresa anche da Repubblica, pronta a sottolineare come Mattarella abbia ricevuto «Draghi prima dell’incontro con Meloni». Peccato che il Quirinale smentisca tutto, sottolineando il «divertito stupore» di Mattarella per la ricostruzione. «Non è vero che il Presidente abbia parlato con Mario Draghi di Pnrr, né chelo abbia incontrato 24 ore prima della colazione con il presidente del Consiglio né tantomeno in giorni realmente precedenti». Poi la staffilata finale: «Sarebbe fortemente auspicabile che, sulle iniziative del presidente della Repubblica e sul loro significato, si facesse riferimento al Quirinale, con piena trasparenza».

 

Insomma, nonostante quel riferimento ai «giorni realmente precedenti» lasci intendere che effettivamente un incontro tra il capo dello Stato e l’ex premier ci sia stato, dal Colle arriva una smentita sia sui contenuti, sia sulla tempistica del colloquio. Peccato che Giannini e Molinari facciano finta di nulla. Il direttore della Stampa camuffa la sconfessione del Colle come una «precisazione», visto che il giorno dopo sul quotidiano appare un box dal titolo «L’incontro tra Mattarella e Draghi è avvenuto il 20 marzo al Quirinale». Lasciando addirittura intendere, come sottolineato da Marcello Foa, che la presidenza della Repubblica abbia confermato la data. Quanto a Repubblica, la dura nota del Colle non finisce neanche nelle “brevi”. Come se Mattarella non avesse accolto con «divertito stupore» le ricostruzioni giornalistiche dei due giornali del gruppo Gedi.

SPERANZE FRUSTRATE
Ma gli schiaffi non finiscono qui. Ci sono, infatti, anche gli schiaffi “indiretti”. Quelli sotto forma di firma sotto i provvedimenti del governo che i giornali ostili all’esecutivo tacciano sempre di inconstituzionalità. Ipotizzando “stop” da parte del Presidente. È andata così il 20 luglio, quando il capo dello Stato dopo qualche giorno di attesa che aveva illuso le opposizioni e l’Anm ha autorizzato la presentazione del disegno di legge Nordio sulla riforma della giustizia che cancella l’abuso d’ufficio. Ed è successo lo stesso qualche giorno fa, in occasione del via libera del Colle al “decreto omnibus” che contiene, tra le altre misure, anche la tassa sugli extraprofitti della banche.

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