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Ducati, settimana corta? "Si chiude..."

Sandro Iacometti
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Ma davvero siamo tutti destinati a lavorare meno? A prima vista l’idea di ridurre l’orario di attività lasciando inalterata la retribuzione non sembra un toccasana per la produttività. Eppure, l’introduzione della settimana corta è diventata l’ultimo grido in materia di contrattazione aziendale. E non stiamo parlando di imprese solidali o cooperative sociali, ma di colossi della nostra economia. A fare da apripista ci ha pensato Intesa Sanpaolo, prima banca italiana, da sempre molto attenta alle istanze dei lavoratori, che dall’inizio dell’anno ha sottoscritto con i sindacati, ovviamente festanti, un maxipacchetto di flessibilità che include l’orario di ingresso di uscita, fino a 120 giorni l’annodi smartworking e la distribuzione dell’attività lavorativa su 4 giorni anziché 5. Il risultato? Un successone. La settimana corta è stata chiesta dal 70% dei dipendenti che ne avevano diritto (in totale circa 28.500 persone). Tra questi, il 42% ha già utilizzato il nuovo modello organizzativo di lavoro tra marzo e settembre, per un totale di oltre 30.000 settimane.

Perché no, si sono detti in Luxottica, il grande gruppo italiano dell’occhialeria fondato da Leonardo Del Vecchio, anch’esso da sempre in prima linea nel garantire il maggior benessere possibile ai dipendenti, spesso elargendo generosissimi premi di produzione. Ed è così che qualche settimana fa è stata avviata la sperimentazione della settimana corta per gli operai, con la possibilità di lavorare 4 giorni per 20 settimane, grazie a una copertura della riduzione dell’orario sostenuta in gran parte dall’azienda e in misura minima dai lavoratori.

SOGNI E PRAGMATISMO
Dai servizi bancari alla manifattura il salto è grande. Ma mai quanto quello intrapreso solo qualche giorno fa dalla mitica Lamborghini, marchio storico italianissimo, fondato nel 1963 da Ferruccio Lamborghini e poi, dopo una serie di passaggi di mano che hanno raggiunto persino l’Indonesia, finito in pancia al gruppo Audi-Volkswagen (dal 1998). Qui stiamo parlando di metalmeccanici, di cicli di produzione frenetici, di turni incessanti. Impossibile rallentare? Tutt’altro.

L’accordo firmato il 5 dicembre, dopo un annodi trattative, prevede, tra le altre cose, l'alternarsi di una settimana da 5 giorni e una da quattro per il personale di produzione che lavora su due turni (mattina e pomeriggio) e turno centrale per una riduzione complessiva di 22 giornate di lavoro all'anno; una settimana da 5 giorni e due da 4 per il personale di produzione che lavora su un regime atre turni per una riduzione complessiva di 31 giornate di lavoro all'anno; 16 giorni in meno all'anno per il personale operaio non collegato alla produzione, 12 giornate in meno per gli impiegati che potranno avere fino a 12 giorni di smart working al mese.

Insomma, si può fare. O no? In attesa di vedere i risultati sulla produttività e sul conto economico, mentre alcuni grandi gruppi sembrano rapiti da una visione che ricorda i vecchi slogan comunisti “lavorare meno, lavorare tutti” o quelli più recenti rilanciati da qualche economista progressista e dalle pittoresche tesi grilline secondo cui tra un po’ non sarà più necessario neanche un giorno di lavoro per ricevere il salario a fine mese, c’è anche chi continua a tenere i piedi saldamente a terra e vede le cose in maniera un po’ più pragmatica. Certo, la qualità della vita è fondamentale, la soddisfazione dei dipendenti pure. E la flessibilità degli orari che dia la possibilità al lavoratore di gestire i suoi spazi privati è ormai diventata un fattore che pesa nei contratti quanto la retribuzione. Ma per Claudio Domenicali, che di mestiere fa l’amministratore delegato della Ducati, altro marchio italianissimo finito sempre in pancia al gruppo Audi-Volkswagen, la settimana corta è un azzardo che rischia di far saltare il sistema, almeno quello della metalmeccanica.

«Quando i marchi sono boutique che fanno oggetti di straordinario lusso come Lamborghini, forse se lo possono permettere», ha detto durante la presentazione della festa per le vittorie della Ducati nel MotoGp, «ma credo che se tutto il territorio produttivo andasse in quella direzione sarebbe un problema per i lavoratori, creando una perdita di competitività e una riduzione dei posti di lavoro». Domenicali non si avventura nel campo della sociologia o in quello della psicologia del lavoro, resta ancorato ai numeri. L’operazione della Lamborghini, ha spiegato, rischia di far lievitare il costo del lavoro «anche del 20%» e potrebbe accentuare la «desertificazione in atto del sistema produttivo». Come dire, prima di accorciare i giorni a chi già lavora, cerchiamo di riportare in fabbrica i dipendenti dell’automotive in cassa integrazione. Che non sono pochi.

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