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Cop28? L'economia va avanti con petrolio e gas, ma l'Ue è schiava del fanatismo

Gianluigi Paragone
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Quando c’è fanatismo? Quando non si vede nulla attorno eccetto un dogma fideistico, in questo caso di ispirazione ecologista. Tutti pensiamo che si debba vivere nel rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema, qualcuno però ha trasformato tale rispetto in un atto di fede politica a prescindere dalla realtà delle cose. Le politiche Ue in materia “green” sono impregnate di fanatismo e produrranno discriminazioni a danno soprattutto dei ceti medi e medio bassi, già abbastanza massacrati negli ultimi vent’anni. C’è inquinamento nel mondo? Certo che sì, ma da qui a pensare che oggi si debba andare d’imperio verso un nuovo paradigma senza controllare le conseguenze certe è come guidare a fari spenti nella notte più profonda e con la nebbia. Come si poteva pensare che il documento della Cop28 (organizzato in un Paese produttore di petrolio) potesse prevedere l’eliminazione dei combustibili fossili, quindi di quel petrolio, di quel gas e di quel carbone che oggi alimentano le economie reali del pianeta?

Che vi siano economie in dumping ambientale è evidente, ma non da oggi. La Cina fu ammessa nel club del Wto nel 2001, oltre vent’anni fa; nessuno chiese alla Cina - né preliminarmente né successivamente - di adeguarsi a standard minimi di ecosostenibilità. Evidentemente al club dei paesi ricchi, quelli che oggi ipocritamente salgono in cattedra, serviva che il Dragone entrasse nell’organizzazione mondiale del commercio per un maggiore controllo. Altro esempio. Oggi l’Europa, intesa come Commissione, si straccia le vesti per il mancato risultato; ebbene nessuno nella Commissione solleva la questione dell’inquinamento prodotto dal traffico delle navi cargo, forse perché ai Paesi del nord non conviene dal momento che i tre porti europei più attrattivi sono a Rotterdam (sulle cui procedure ci sarebbe molto ma molto da dire...), ad Amburgo e ad Anversa. Ma poi, l’Europa attualmente, che politiche energetiche di programmazione ha? Nessuna: ha visto danneggiare il suo principale gasdotto, il North Stream, per “pressioni esterne” senza proferir parola. Gli è bastato potenziare il rapporto con America e Norvegia (paese extra Ue ma Nato) per le forniture di gas liquido, che quanto a impatto ambientale non è certamente di poco conto.

 

 

Nel testo Cop28 si parla di «ridurre consumo e produzione di combustibili fossili, in modo giusto, ordinato ed equo, così da raggiungere lo zero netto entro o intorno al 2050, in linea con la scienza». Non si parla né di petrolio né di gas. È un documento realista, con un impegno di massimo. Fissare una scadenza sul superamento dei combustibili fossili sarebbe stato penalizzante e ipocrita. Del resto quella finanza araba che è entrata nel capitalismo occidentale e che serve come bocchettone finanziario, è tranquillamente accettata, oltre che richiesta. Primo, perché le economie hanno bisogno di petrolio e di gas; secondo perché i paesi produttori hanno un peso politico. Per farla breve, se non vogliamo sprofondare nelle crisi quei barili di petrolio sono indispensabili. Sarà possibile un giorno lavorare sui combustibili fossili riducendo al massimo l’impatto sulla CO2? Sì, e quella è una sfida che va accoppiata allo sviluppo di forme di energia alternative.

Per questo nel documento si afferma “in linea con la scienza”. Secondo uno studio dell’Observatory of Economic Complexity, il petrolio nel 2021 è stato il primo prodotto più venduto al mondo, con scambi pari a 951 miliardi di dollari. Chi guida la classifica dei paesi esportatori è l’Arabia Saudita con un valore totale di 138 miliardi di dollari l’anno (dato sempre del 2021) e che rappresentano il 14,5% del totale. Seguono la Russia (113 miliardi e 11%), il Canada (81,2 miliardi di dollari e 8,5% del totale), Iraq (72 miliardi e 7,6% del mercato), Stati Uniti (67,6 miliardi di dollari e il 7,1%), gli Emirati Arabi Uniti (58,5 miliardi e 6,2% del mercato). Davvero pensiamo di guidare una transizione senza provocare collassi economici e sociali? O davvero pensiamo che basti una economia a botte di intelligenza artificiale, robot e tiktokers? Aggiungo, a beneficio dei compagni, che il Brasile di Lula, sta tessendo la propria rete di relazioni internazionali abbinando il cartello dei Brics+ a quello dell’Opec+: dal primo gennaio 2024 infatti entrerà nell’Opec. Con buona pace della retorica anti Bolsonaro, il “negazionista”. 

 

 

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