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Fnsi, un'assurda protesta: i sindacalisti non sono mai sulla notizia

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Pietro Senaldi
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Sempre sulla non notizia, i valenti sindacalisti del giornalismo italiano. Avevano appena annunciato che avrebbero boicottato la conferenza stampa della presidente del Consiglio, prevista per questa mattina, che Giorgia Meloni l’ha slittata per la seconda volta, a causa dell’influenza dalla quale non riesce a guarire. Poco importa, quel che conta è il gesto, la valenza simbolica. Se non è per oggi, sarà per la prossima volta, domani o forse il 30 o il 31, come da antica prassi; d’altronde c’è un governo fieramente tradizionalista.

Ragione di questa mossa polemica da parte dei vertici della Fnsi, la Federazione nazionale della stampa, è protestare contro la legge bavaglio - nome d’arte- che impedisce la pubblicazione letterale delle intercettazioni degli indagati riportate dalle ordinanze dei pubblici ministeri prima del loro rinvio a giudizio. Non è che non si possa descrivere il contenuto delle conversazioni registrate, semplicemente va sintetizzato.
La norma ha lo scopo di non rendere note a tutti conversazioni private che spesso poco hanno a che fare con l’inchiesta ma, se riportate dalla stampa, servono a esporre alla gogna chi ne è oggetto, condizionando l’opinione pubblica e, se trattasi di esponenti di partito o amministratori, l’attività politica.

La pubblicazione delle intercettazioni è una sorta di processo mediatico che si apre prima che inizi davvero quello giudiziario e anche a prescindere dal fatto che questo si tenga, visto che le indagini possono, in sede di udienza preliminare, concludersi con un non rinvio a giudizio. La nuova norma che regola la materia risponde peraltro a quanto richiesto dalla direttiva dell’Unione Europea, secondo la quale la pubblicazione letterale delle intercettazioni è così manipolatoria da contrastare con il principio costituzionale della presunzione di innocenza dell’imputato (figurarsi del non ancora imputato).

Essa si limita a far rivivere la disciplina precedente al 2017, cambiata dal Guardasigilli del Pd, Andrea Orlando, che con uno stratagemma estese alle ordinanze cautelari dei pm le norme che regolavano le intercettazioni nella fase processuale ordinaria. Peraltro, dovere di cronaca impone di ricordare che la cosiddetta legge bavaglio non è opera della maggioranza di governo bensì dell’onorevole Enrico Costa, già ministro di Gentiloni e attuale esponente calendiano di Azione. Perché dunque i vertici del sindacalismo giornalistico protestano contro l’esecutivo? Forse non sanno che le modifiche, anche se apprezzate dall’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, arrivano da sinistra? O ignorano che le nuove norme erano in vigore fino al 2017 senza che nessuno le ritenesse liberticide o nemiche dell’informazione? Supposizioni errate.

Alessandra Costante e Vittorio di Trapani - sono loro la crème della nostra categoria in versione Cgil tutte queste cose le conoscono bene, solo che boicottano Giorgia Meloni non per difendere il giornalismo ma perché fanno politica, che è poi la loro attività principale. La libertà e l’indipendenza della stampa infatti non si tutelano battendosi in favore dell’orribile pratica di alcuni media di farsi buca delle lettere e quindi cassa di risonanza delle procure, tramite pubblicazione di intercettazioni private e di nessuna rilevanza penale ma efficacissime nel tratteggiare nel modo peggiore gli indagati, così da far partire in vantaggio i pm all’apertura del dibattimento. Questo significa essere servi, non giornalisti e una legge contro la servitù di stampa non è liberticida ma garantista.

  

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