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Il governo ha fatto calare la povertà e le disuguaglianze: i dati Istat

Sandro Iacometti
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L’unica spiegazione è che all’Istat ci sia qualche irriducibile fascistone che si è messo a taroccare i dati. Altrimenti non si capisce davvero. Ricordate il governo che si accanisce contro i poveri, che alimenta le disuguaglianze e che se ne frega di chi è alla canna del gas? Sono mesi che sinistra e sindacati ci raccontano di un regno della disperazione e del degrado, di un Paese in declino, che si è dimenticato degli ultimi, che ha lasciato indietro i più deboli e che ha tolto soldi agli indigenti per comprare le armi a Zelensky. Ebbene, udite udite, secondo l’Istituto nazionale di statistica grazie agli interventi del governo nel 2023 non solo è diminuito il rischio di povertà, ma ci sono anche meno diseguaglianze tra ricchi e poveri e, notizia strabiliante, la redistribuzione del reddito tanto cara a Landini, Schlein & C. ha avuto l’impatto maggiore nel Mezzogiorno, proprio quella terra che l’esecutivo si prepara ad abbandonare a se stessa con l’autonomia differenziata.

Possibile? Qualche giornale che ha poca simpatia per il governo «delle destre» oggi forse avrà il coraggio di titolare sul milione di famiglie che ha perso il reddito di cittadinanza, come certifica sempre l’Istat. Ma la verità è che gli effetti della riforma della paghetta grillina sono stati ampiamente compensati da misure che, forse questo va detto, l’esecutivo ha cavalcato meno di quello che avrebbe potuto e dovuto fare. Che il taglio del cuneo fiscale sia stato un toccasana per le famiglie soffocate dall’inflazione lo si era già capito qualche mese fa, quando l’Istat ha certificato un aumento del potere d’acquisto, quindi un incremento del reddito disponibile più elevato del caroprezzi, nel terzo trimestre dello scorso anno.

 

 

IL CATASTROFISMO
Ma il rapporto di ieri, dedicato proprio alla “Redistribuzione del reddito in Italia” colpisce al cuore la narrazione catastrofista “delle sinistre” dimostrando che gran parte delle poche risorse a disposizione del governo sono state indirizzate proprio ai ceti più deboli. Non che gli italiani siano diventati tutti come Flavio Briatore, intendiamoci. Ma i cambiamenti rappresentano una significativa inversione di tendenza. Ed evidenziano, soprattutto, l’efficacia di misure che molti, probabilmente anche a Palazzo Chigi, hanno sottovalutato. Secondo l’Istat, infatti, a provocare la diminuzione dell’indice di Gini (che misura il livello di diseguaglianze) dal 31,9 al 31,7% e il calo del rischio di povertà dal 20 al 18,8% è stato il combinato disposto del taglio del cuneo fiscale in versione strong da luglio e l’incremento dell’assegno unico, previsto dalla finanziaria varata a fine 2022.

Una misura, quest’ultima, che tanti neanche ricordano più, ma che ha invece portato ad «un aumento medio di 719 euro annui, rispetto all'assegno ricevuto nel corso del 2022, a beneficio soprattutto dei nuclei nei due quinti più poveri, dove si registra una variazione sul reddito familiare rispettivamente del 3,6% e del 2,2%». Quanto al taglio del cuneo, «ha comportato un miglioramento dei redditi disponibili per circa 11 milioni di famiglie (43% delle famiglie residenti in Italia), che in media percepiscono un beneficio, valutato al netto delle interazioni fiscali, di 537 euro più alto di quello ricevuto nel 2022». Ed ecco la chicca finale. «Nel complesso» spiega l’Istat, «l’effetto redistributivo è significativamente più importante nel Mezzogiorno, dove si rileva una riduzione della diseguaglianza nel passaggio dal reddito primario al reddito disponibile (quello che si ha veramente in tasca, ndr.) di 16,9 punti percentuali (15,2 al Nord e 14,2 al Centro)». 

 

 

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