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Servono fondi e banchi disposti a credere nella nostra impresa

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Bruno Villois
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La stagione delle trimestrali delle prime sei banche a capitalizzazione italiana è ai nastri di partenze, cinque delle quali sono stabilmente attenzionate dagli analisti per possibili fusioni o aggregazioni tra loro. I dati offriranno l’occasione o meno di confermare i risultati dell’esercizio 2023 e in ragione di quelli di far aumentare o diminuire il loro ruolo di cacciatori o prede nel possibile risiko. Anche nell’eurozona circolano indiscrezioni su aggregazioni di forte rilevanza.

La spagnola BBVA ha lanciato una proposta-offerta verso Sabadell su cui i mercati scommettono, tanto da far salire il prezzo della preda di oltre il 7% e far diminuire quello del predatore di altrettanto, nel caso l’operazione andasse a buon fine, tutta attraverso carta, ovvero scambi azionari, nascerebbe un gruppo da oltre 75 miliardi di capitalizzazione.

Lo scenario bancario europeo delle quattro maggiori economie, dei tandem con una capitalizzazione di borsa per ciascuno dei due intorno ai 60 miliardi, a parte la Germania nella quale i due colossi Deutsche e Commerzbank hanno il primo la metà e il secondo 1/4, a primeggiare è la francese BNP-Paribas, con oltre 75 miliardi, che è pure prima per presenze e giro di affari estero, Europa e globo. Le due al vertice Italiano,Intesa e Unicredit, hanno, soprattuto la seconda, cavalcato un rally che nel triennio in corso l’ha portata a triplicare il valore di borsa, con una presenza oltre confini non particolarmente rappresentativa, a differenza delle prime francesi, spagnole e tedesche. Tutte comunque staccano di molte decine di miliardi la terza banca, che per noi è Banco BPM, la cui performance nel triennio in corso è stata di triplicare la capitalizzazione e portarsi ai vertici europei della distribuzione di dividendo per l’esercizio 2023, una distribuzione consentita dai coefficienti patrimoniali di assoluto rilievo e da una ulteriore possibilità di crescita di particolare importanza. È proprio sul ruolo che potrà avere BPM che si concentrano le attese per un risiko che, se venisse definito da almeno tre istituti bancari. raggiungerebbe i 20 miliardi di capitalizzazione.

Costruire un terzo polo italiano favorirebbe la crescita delle medie imprese italiane, quelle che oscillano tra fatturati di 400 milioni e il miliardo di euro e da inizio secolo costituiscono la vera ossatura del sistema imprenditoriale manifatturiero italiano. Lo sono perché hanno una propria filiera ,perchè esportano per oltre i due terzi, perchè hanno una storia di lungo corso e sono mediamente ancorati a solide famiglie e nel caso abbiano ceduto la maggioranza a fondi di private equity, lo hanno fatto mantenendo in proprie mani le decisioni industriali e rafforzando quelle finanziarie, affidate alle competenze professionali del fondo. Esempio di questa filosofia ha trovato riscontro soprattutto nel fondo NB Renaissance, che possiede partecipazioni di maggioranza in aziende esclusivamente italiane, con un totale di occupati che si avvicina alle 20mila unità, che si raddoppia con l’indotto, e realizza un fatturato prossimo ai 4 miliardi. Terzo polo, investitori, fondi che lasciano la politica industriale nelle mani degli imprenditori, può costituire lo scenario per portare ad un evoluzione in termini di dimensioni, fatturati, occupati e solidità patrimoniale per favorire una crescita duratura e consistente della nostra economia.

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