OPINIONE

Il gioco del credito è un affare d’interesse nazionale

di Mario Sechimartedì 15 luglio 2025
Il gioco del credito è un affare d’interesse nazionale
3' di lettura

Insieme al negoziato europeo sui dazi americani, l’Italia sta giocando una fondamentale partita sul riassetto del sistema del credito (e del debito) che passa nelle cronache con il nome di “risiko bancario”.

Due sono le partite ravvicinate: il tentativo di Unicredit di acquistare Banca Popolare di Milano e l’offerta lanciata da Mps per il controllo di Mediobanca. Le due operazioni hanno sullo sfondo l’assetto azionario futuro di Generali, il colosso delle assicurazioni, che a sua volta ha annunciato la creazione con i francesi di una nuova società del risparmio gestito. In tutti e tre i casi è in gioco l’interesse nazionale.
Sull’operazione Unicredit-Bpm il 2 aprile scorso Libero aveva pubblicato in esclusiva una lettera della Direzione generale della stabilità finanziaria dell’Unione europea che metteva in dubbio l’esercizio del Golden Power da parte del governo perché materia esclusiva della Bce e non giustificata da questioni di “sicurezza nazionale”.

Quell’orientamento è stato confermato ieri dalla Commissione. Si tratta di una posizione insostenibile sul piano del fatto e del diritto, vista la natura del dossier, la presenza di una partecipazione diretta di Unicredit in Russia (una nazione in guerra con l’Europa, non proprio un dettaglio) e il ruolo di Unicredit negli acquisti di titoli di Stato in Italia e all’estero (Russia compresa, sempre quel Paese in guerra, non un altro). Non è questione di sicurezza nazionale? Fu la stessa Bce a chiedere a Unicredit di vendere le attività all’ombra del Cremlino, tutto dimenticato?

Tutte i governi europei usano la leva dell’interesse nazionale, pensate al caso Commerzbank in Germania dove, ancora una volta, è l’Unicredit guidata da Andrea Orcel ad essere sotto la lente. Sarà un caso, ma il raider è sempre lo stesso.

Sul fronte di Mediobanca, ieri l’amministratore delegato Alberto Nagel ha accusato il governo affermando che «gioca ruoli multipli», arrivando ad attaccare alcuni soci (il gruppo Caltagirone e la Delfin degli eredi Del Vecchio) sostenendo che Palazzo Chigi «ha fatto sì che diversi attori in Italia, direttamente o indirettamente, decidessero di sostenere questa operazione». Siamo al testacoda, l’ad di Mediobanca attacca i soci, interpreta le norme del diritto societario a suo piacimento e a quanto pare non conosce la storia dell’istituto che guida, la sua tradizione e leale collaborazione con le istituzioni. Nagel può trovare nel suo archivio storico pagine interessanti sulle relazioni di Mediobanca con i governi, i singoli ministri, l’autorità politica che non è spettatore ma il principale attore economico, quello che garantisce l’esistenza di quel mondo libero nel quale le persone come Nagel possono dire simili enormità, nel suo caso pensando di incontrare ad ogni angolo cronisti disposti a prendere le sue parole per oro colato.

Nell’Archivio di Mediobanca c’è un volume illuminante sulla natura e qualità dei banchieri (quelli del passato), racconta la storia dell’istituto con la chiave delle «relazioni economiche internazionali dell’Italia» dal 1944 al 1971. È una lettura istruttiva sulla Mediobanca di Enrico Cuccia e nell’ultimo capitolo c’è una descrizione dei banchieri protagonisti di quelle vicende che è illuminante sul “sistema” ieri e oggi, sul passato che poggiava su cinque pilastri e oggi è a mezz’aria:

1. Quei banchieri sono una “comunità generazionale”, più o meno sono tutti della stessa età e sono testimoni delle guerre mondiali;

2. Sono una “comunità professionale” che ha fatto esperienze nel settore pubblico e in quello privato, «sono quindi banchieri con l’animo del civil servant e, in alcuni casi, dell’international civil servant»;

3. Sono una “comunità di idee”, sono difensori dell’iniziativa privata e della sua autonomia, ma «non c’è contraddizione tra pubblico e privato», basta pensare alla storia del credito in Italia e agli interventi dello Stato appoggiati anche da Mediobanca;

4. Sono una “comunità politica” che ruota intorno a «capitalismo, democrazia, libertà» e naturalmente - siamo in piena Guerra Fredda - c’è l’imperativo dell’anticomunismo;

5. Sono una “comunità globale”, aperta, ma questo non significa che non ci siano interessi nazionali, tutt’altro, sono banchieri che hanno relazioni personali ma sono in competizione gli uni con gli altri e - leggiamo dall’archivio di Mediobanca - «le banche sono soggetto, e non soltanto oggetto, della politica estera dei loro paesi».

Sovrapporre la cronaca alla storia non è più possibile, le parole di Nagel contro il governo e i soci scavano un abisso tra passato e presente, la tradizione è rotta, i quarti di nobiltà sono evaporati, la Mediobanca di oggi è lontana anni luce dall’istituzione che fu.

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