L'IA può spingere il pil del 18%. Ma quasi nessuno la sa usare

Oltre al ritardo sullo sviluppo delle tecnologie, c'è anche quello sulle competenze Il 67% delle nostre imprese non ha figure professionali in grado di tenere il passo
di Chiara Pisanidomenica 7 settembre 2025
L'IA può spingere il pil del 18%. Ma quasi nessuno la sa usare

3' di lettura

Negli ultimi anni, l’Italia ha compiuto passi importanti per colmare il divario che la separava dalle grandi potenze digitali. Oggi, però, con l’avvento dell’IA Agentica – una nuova generazione di sistemi intelligenti capaci di agire autonomamente e adattarsi ai contesti operativi – la sfida si sposta sul piano delle competenze. E sono sempre dolori. Il rischio, questa volta, non è di non possedere la tecnologia, su cui il ritardo è ormai incolmabile, quanto di non essere neanche pronti a usare quella degli altri.
Il capitale umano è la leva decisiva per trasformare il potenziale tecnologico in risultati concreti.

Ma quasi nessuno, manco a dirlo, è pronto: il 67% delle aziende italiane, secondo una rilevazione di Microsoft Italia, segnala una carenza di profili adeguati, e oltre 4 milioni di lavoratori non dispongono di sufficienti competenze digitali. Nasce da qui l’idea dell’AI Skills 4 Agents Observatory, promosso da TEHA Group in collaborazione con la stessa Microsoft Italia, Avanade e altri partner strategici. L’obiettivo è creare un approccio integrato che coinvolga imprese, università, istituzioni e centri di formazione per preparare il sistema Paese alla transizione verso l’IA Agentica.

Missione non semplice. Secondo i dati dell’Osservatorio, il mismatch tra domanda e offerta di competenze digitali avanzate è cresciuto del 2,6% in soli sei mesi, a conferma di una difficoltà crescente nel trovare talenti con le skill necessarie. La tecnologia è disponibile, ma serve un investimento sistemico nella formazione, soprattutto in un tessuto economico dominato da piccole e medie imprese.

A livello globale lo scenario è noto: negli Stati Uniti è concentrato oltre il 72% degli investimenti, mentre l’Europa, Italia inclusa, fatica a tenere il passo. Uno squilibrio che rischia di minare la competitività. E di mandare in fumo un potenziale enorme. Secondo il modello di impatto TEHA, l’IA potrebbe contribuire fino al 17,9% del nostro Pil. Un bottino che non può essere acciuffato senza colmare il divario di competenze. «Non la tecnologia, ma il capitale umano è per l'Italia il vero fattore di ritardo nella corsa all'IA Agentica», sottolinea Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di TEHA Group, secondo cui l’innovazione «non è più una scelta ma un obbligo: le aziende che non si adatteranno a questo nuovo paradigma rischieranno di restare indietro, perdendo competitività in un mondo che sta rapidamente diventando sempre più automatizzato e autonomo. Solo attraverso una strategia ecosistemica sarà possibile comprendere e sfruttare il potenziale dell'IA Agentica, garantendo una transizione tecnologica efficace che risponda alle esigenze concrete delle aziende e colmi definitivamente il gap di competenze».

«La storia - aggiunge Vincenzo Esposito, Amministratore Delegato di Microsoft Italia - ci insegna che le grandi innovazioni generano grandi opportunità». La vera sfida è la transizione, preparando chi lavora per l’AI Economy attraverso la formazione, ha proseguito, evidenziando che «in questo contesto, è fondamentale che il tessuto produttivo italiano, composto in gran parte da piccole e medie imprese, possa accedere a tecnologie e competenze per evitare nuovi divari digitali. L’IA può diventare il motore di una nuova stagione di crescita. Unendo ingegno umano e tecnologia, possiamo costruire un futuro in cui l’Italia non solo adotta l’innovazione, ma la guida con visione, passione e spirito imprenditoriale».