Cerca
Logo
Cerca
+

Monti pensa di governare 40 anni

default_image

Giustizia, digitalizzazione totale dell'amministrazione pubblica, "rinnovamento della società": nell'agenda del governo progetti visionari sufficienti per decenni, non per sei mesi...

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

di Fausto Carioti Manca solo «l'organizzazione di un po' di felicità», come la chiamava la buonanima di Romano Prodi. Il resto della “bella politica” degli ultimi anni, in quelle diciotto pagine con il logo della presidenza del Consiglio, c'è proprio tutto. Inclusi gli slogan alla Berlusconi («Più legalità e più sicurezza», «Semplificare per crescere») e la narrazione alla Vendola (la risposta della «società civile» alle richieste del governo «è stata un'ampia assunzione di consapevolezza e responsabilità, dando così il segnale di uno scatto di orgoglio nazionale e della volontà di rinascita del Paese»). I partiti ancora non sanno con quali candidati e alleati si presenteranno alle elezioni, figuriamoci se possono mettere per iscritto un impegno o uno straccio di idea. Ma Mario Monti e i suoi non hanno questo problema: seduti sulla riva del Tevere, aspettano che passino i cadaveri di Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi a implorare un ritorno dei tecnici a palazzo Chigi (Pier Ferdinando Casini, previdente, si è messo in ginocchio da tempo). Quel giorno, i professori non dovranno fare altro che aprire alla prima pagina il documento varato venerdì: il programma del governo Monti è già pronto, per la prossima legislatura e quelle che verranno. Sulla copertina si legge «Obiettivo crescita. L'agenda del governo». Dentro, di concreto, c'è poco o niente. Metafora perfetta di un consiglio dei ministri in cui si è parlato per nove ore, senza approvare mezzo provvedimento. Però, appunto, in quelle pagine c'è la visione, c'è la strategia e c'è anche un bel po' di sogno. Cose bellissime, ma che nulla hanno a che vedere con un governo destinato ad esaurirsi tra pochi mesi, i cui protagonisti giurano che mai si candideranno alle elezioni. Come ogni programma politico, anche quello del governo-partito dei professori inizia con un autoelogio per le cose fatte. I tecnici, fa sapere l'agenda di Monti, sono stati comprensivi e dialoganti: «Il governo ha ricercato la consultazione delle parti sociali e delle autonomie locali come base per migliorare la qualità delle politiche pubbliche, nel rispetto dell'autonomia di decisione dell'esecutivo e del ruolo del Parlamento». Hanno saputo essere persuasivi con i cittadini: «I passi condotti dal governo nella sua azione di politica europea hanno dimostrato l'ottica di iniziativa e di proposta attiva piuttosto che di europeismo passivo o di protesta tardiva contro decisioni sgradite, e hanno pertanto costituito un fattore determinante nella comprensione e accettazione delle misure adottate, in quanto sono stati percepiti essere nell'interesse precipuo dell'Italia stessa». E ovviamente sono stati molto apprezzati dagli organismi sovranazionali: «L'azione di riforma ha raccolto il giudizio favorevole da parte delle principali istituzioni internazionali, dall'Ocse al Fondo monetario internazionale, e della Commissione europea». Insomma, si può andare orgogliosi di un governo simile. Anche perché il meglio deve ancora venire, con quel popò di programma. Bisogna creare «una giustizia più rapida ed efficace», grazie a una serie di interventi non proprio secondari tipo «il reclutamento straordinario» di magistrati «per la Cassazione e per le Corti d'appello». Sul fronte della informatizzazione, il governo Monti propone nientemeno che la «realizzazione delle reti di nuova generazione», di «sviluppare il commercio elettronico a livello nazionale ed internazionale», «conseguire la piena digitalizzazione dei rapporti tra cittadini e pubblica Amministrazione», «accrescere il livello di alfabetizzazione digitale della popolazione italiana a partire dal mondo della scuola», «rafforzare gli investimenti pubblici e privati nel settore dell'Ict per agevolare il cloud computing e la diffusione della cultura open data». Ce ne è per i prossimi decenni. Nel capitolo, epocale già nel nome, intitolato «Crescita e rinnovamento della società a vantaggio delle generazioni future», tra le «azioni in programma» appaiono la elaborazione di «una nuova legge per la concorrenza per estendere ulteriormente l'apertura dei mercati» e il varo di un «disegno di legge che valorizzi il “merito” in senso trasversale» (qualunque cosa voglia dire). Ambiziosi pure gli interventi in cantiere sul mondo del lavoro, come «rafforzare i servizi per l'impiego, le politiche attive e l'apprendimento permanente», oppure «intensificare le azioni finalizzate a promuovere la formazione, la mobilità internazionale, l'inserimento nel mondo lavorativo dei giovani». Un percorso complesso da realizzare in una legislatura di cinque anni, figuriamoci in cinque mesi. Anche perché sinora l'efficienza dei professori non è stata all'altezza delle loro visioni: le riforme già approvate dal governo necessitano di 398 decreti attuativi, ma ad oggi ne sono stati varati appena 40. Succede, quando i tecnici si mettono a fare i politici.

Dai blog