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Milioni senza lavoro, ma contano solo i disoccupati Fiom

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Quando gli attacchi continui faranno scappare Marchionne agli operai resteranno i diritti. Ma niente occupazione...

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro Confesso: faccio sempre più fatica a capire questo Paese. E se risulta difficile a me che faccio il giornalista, e dunque passo tutto il mio tempo a mettere insieme i fatti e interpretarli, chissà cosa deve sembrare a un imprenditore, un impiegato o un semplice studente. La mattina sfoglio i giornali e scopro che eventi che a me appaiono ininfluenti per la vita dell'Italia non solo hanno richiamato l'attenzione della grande stampa, ma addirittura hanno smosso fior di ministri, i quali fra i tanti problemi che li circondano hanno deciso di occuparsi proprio di quelli da me ritenuti secondari. Forse alcuni lettori avranno già capito a che cosa mi riferisco: alla Fiat, è ovvio. E ai suoi diciannove dipendenti messi in mobilità. Con il fatto ieri aprivano la prima pagina quasi tutti i principali giornali, dal Corriere della Sera alla Repubblica, i quali riferivano dell'intervento del governo contro la decisione di Sergio Marchionne di mettere in mobilità diciannove lavoratori di Pomigliano dopo che la magistratura aveva deciso di reintegrare altrettanti iscritti della Fiom, l'organizzazione che raggruppa i metalmeccanici della Cgil. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero avrebbe intenzione di convocare l'amministratore delegato della Fiat per discutere delle relazioni sindacali all'interno del gruppo automobilistico. E Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, avrebbe già mosso i suoi uffici, annunciando che la decisione dei vertici del Lingotto non gli è piaciuta. Tutto questo, ribadisco, perché sono stati messi in mobilità  diciannove lavoratori. Ministri, giornali e sindacalisti (la magistratura la trascuro, ma meriterebbe un articolo a parte) impegnati per un numero di operai inferiore a quelli delle decine di fabbrichette che ogni giorno sono costrette a chiudere i battenti causa crisi. Di quelli e di quelle aziende messe alle strette dalla recessione nessuno si occupa. Non i vertici sindacali, non i giornali, figuratevi i ministri. Giovedì abbiamo dato notizia che nel solo mese di settembre in Italia hanno perso il lavoro 62 mila persone, mentre dall'inizio dell'anno i dipendenti che sono rimasti senza stipendio sono più di mezzo milione. Qualcuno ha forse visto in prima pagina la notizia? Oppure ha letto di qualche dichiarazione dei vari Camusso, Bonanni e Angeletti? Nei tg della sera si è ascoltato un ministro dire di essere dispiaciuto? Eppure il numero dei disoccupati aveva sfiorato la quota dei tre milioni, pari a quasi l'undici per cento della forza lavoro, un tasso che non si vedeva da vent'anni. Ciononostante stampa, sindacato e politica sono stati zitti. Forse i diciannove lavoratori di Pomigliano sono più importanti di quelli del resto d'Italia?  La mia ovviamente è una domanda retorica, perché perfino un bambino capirebbe che non ha senso scaldarsi tanto per una questione che riguarda poche decine di dipendenti, ignorando tutti gli altri. Che cosa hanno di speciale quei diciannove oltre ad essere iscritti alla Cgil? Sono forse da proteggere in quanto esemplari in via d'estinzione? Oppure si gode di tutele speciali solo se si è dipendenti della Fiat? L'Italia va in malora, la disoccupazione ha raggiunto livelli record, le aziende scappano all'estero, ma i media e il governo non hanno occhi che per il Lingotto, come se la vita e il futuro del Paese dipendessero da quel che fa la nostra industria automobilistica. Nel corso degli anni abbiamo perso le fabbriche ad alta tecnologia, la chimica è stata comprata dalle multinazionali e così pure gran parte delle nostre aziende alimentari, mentre le società di telefonia sono più in mano straniera che italiana. Ciononostante noi abbiamo a cuore quel che fanno e disfano a Torino.  Anni fa si diceva che ciò che andava bene alla Fiat andava bene all'Italia, ma parecchio tempo è passato. Oggi probabilmente ciò che va bene alla casa automobilistica non va più bene a noi, ma è ininfluente. Invece di continuare ad ascoltare cosa dicono gli Agnelli  dovremmo imparare ad ascoltare cosa dice il mondo dell'industria, lasciando perdere Marchionne. Al quale dedichiamo troppe attenzioni.  L'amministratore delegato del gruppo torinese ha appena ricevuto un premio negli Usa per i risultati conseguiti in America con la Chrysler. Da noi, al contrario, gli vorrebbero dare una multa. Ma se continuano ad andare in questa direzione, l'unico risultato che riusciranno a conseguire è di dare al manager italo-canadese l'alibi di ritirarsi. Altro che scommettere sull'Italia e finanziare il polo dell'alta gamma automobilistica a Mirafiori e  Grugliasco. A forza di discutere della Cgil e della sua anacronistica battaglia di Pomigliano, finiremo per perdere anche l'ultimo treno dell'industria. Anzi, l'ultima auto. Dopo di che, forse, i ministri potranno occuparsi degli altri disoccupati. Sempre che non ci sia qualche altro Panda da salvare, che non è l'auto ma quell'operaio che difende i suoi diritti senza accorgersi che l'azienda nel frattempo si è estinta.   

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