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Svelato il bluff della lotta all'evasione

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Maurizio Belpietro
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C'è chi si è visto contestare l'acquisto della materia prima all'estero, con l'accusa di aver evaso milioni per il solo fatto di aver comprato del cashmere in Kashmir e non in Campania. E chi invece, all'ennesima visita della Guardia di Finanza, si è sentito chiedere scusa per il verbale appena redatto con la seguente motivazione: sappiamo che avete conti e imposte in ordine, ma qualcosa che non va lo dobbiamo trovare per forza. Anzi, per esigenze superiori. Ossia per dimostrare che la lotta all'evasione si fa sul serio e che il gettito contestato ogni anno aumenta, rispondendo alle esigenze di far quadrare il bilancio e di giustificare nuove e sempre crescenti spese. E anche perché sulla presunta evasione recuperata si costruiscono carriere e si ricevono premi. Non importa che molti di quei soldi, la gran parte se si dà retta ad Attilio Befera, numero uno dell'agenzia delle entrate, lo Stato non li vedrà mai, perché le ingiuste richieste del fisco saranno respinte nei vari gradi di giudizio. Al momento, cioè quando le infrazioni vengono contestate, fanno numero e consentono di potersi presentare di fronte all'opinione pubblica come se si fosse sgominata una vera gang dell'evasione. Al contrario, spesso a finire nella rete del fisco, sono piccoli e medi imprenditori, i quali pur avendo regolarmente pagato le tasse si vedono contestare le violazioni più assurde, con la conseguente emissione di multe salatissime. Tanti si rassegnano e piuttosto di ingaggiare una lunga e difficile battaglia, pagando consulenti ed esperti, versano un terzo di quel che dovrebbero. I grandi evasori, quelli che nascondono tutto e operano fuori dalla legalità, al contrario festeggiano, perché fino a quando l'attenzione è rivolta su chi già paga, possono continuare ad agire indisturbati. Infatti la Finanza mira ai soliti noti, quelli alla luce del sole, non coloro che si nascondo nei paradisi fiscali o che cambiano continuamente partita Iva. È il grande bluff della lotta ai furbi, dove in realtà i furbi si rivelano quelli che dovrebbero dar loro la caccia e le vittime diventano i contribuenti onesti. A raccontare come lavorano gli uomini della grande macchina fiscale è proprio uno di loro, che in un'intervista esclusiva a Libero (anonima per evitare rappresaglie dei superiori, ma in redazione la sua identità e la sua esperienza sono note), svela i metodi, le furbizie e le scorrettezze messe in atto nei confronti delle imprese pur di dimostrare che lo Stato ha dichiarato guerra agli evasori. La narrazione del grande imbroglio è incredibile. Una ad una vengono a galla le vessazioni contro gente per bene che non si è mai sognata di non far il proprio dovere di cittadino. Un meccanismo infernale che non lascia scampo, perché una volta avviato deve concludersi con il raggiungimento dell'obiettivo, ovvero con l'emissione di un verbale che porti all'accertamento. Così i comandanti possono autocelebrarsi con cifre e dati non veritieri e i ministri gonfiare il petto per i risultati raggiunti. «Quando entriamo in un'azienda sappiamo già che dobbiamo notificare un verbale a qualsiasi costo e se bussiamo alla porta di un imprenditore sappiamo già che non ha praticamente speranza di salvezza». Il quadro descritto dall'ispettore è agghiacciante, perché dimostra l'esistenza di uno stato di polizia fiscale in cui non è il rispetto della legge, delle norme vigenti, ad essere garantito, ma il sopruso dell'Erario. Dalle parole dell'uomo del fisco si capisce che siamo all'estorsione legalizzata, anzi statalizzata, perché lo Stato deve mantenersi e per farlo è disposto anche a pretendere una specie di pizzo dalle imprese, ossia un di più non dovuto, che supera la tassazione già da primato mondiale che viene praticata in Italia. Quella descritta nell'intervista che potete leggere in queste pagine non è altro che una tangente fiscale, pretesa senza vergogna da uomini mandati dallo Stato e che quello Stato rappresentano. E poi si chiedono perché le aziende scappano all'estero. Al contrario ci sarebbe da interrogarsi sul perché molti imprenditori continuino a rimanere ancora qui. di Maurizio Belpietro [email protected] @BelpietroTweet

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