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Sotto la banca il Pd ci creperà

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I democratici si affrettano a prendere le distanze dal Monte dei Paschi, ma le foto dimostrano che Mussari era vicinissimo ai leader del partito. Per Bersani la scalata a Palazzo Chigi si complica

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Sopra la banca il Pd campava, sotto la banca il Pd crepa. Il Pci prima, i Ds poi e il Partito democratico da ultimo,  per decenni hanno avuto le mani in pasta nel Monte dei Paschi di Siena, decidendone vertici e  strategie, usando l'istituto come ufficio di collocamento e come cassa continua per ciò che serviva al Comune e alla comunità politica della sinistra. Ma ora che l'Mps sta crollando e sui buchi di bilancio indaga la magistratura col rischio che ad essere travolti  oltre agli azionisti siano i padrini politici della banca, nel Pd non c'è più nessuno che rivendichi la vicinanza con il Monte.  Il partito non c'entra e, se c'entra,  i suoi principali esponenti non sapevano, non sentivano e non parlavano, come le tre scimmiette. Massimo D'Alema, da anni ritenuto l'uomo a cui era vicino il presidente di Rocca Salimbeni, in una intervista a La Stampa si è addirittura spinto a sostenere che è stato il suo partito a non rinnovare l'avvocato Giuseppe Mussari ai vertici di Mps, aggiungendo che il sindaco della città «non è il Pd». Ma non c'è solo l'ex presidente del Consiglio: ieri sono stati in tanti a rinnegare qualsiasi paternità nel pasticciaccio brutto del Monte dei buchi di Siena. Quella che era considerata la banca vicina ai compagni, improvvisamente non ha più referenti. Nell'ora in cui i conti vanno in rosso, c'è una corsa a sbianchettare Mps, nella speranza di farne dimenticare l'antico colore. Eppure basta scorrere l'album di famiglia del Pd per scoprire come Giuseppe Mussari fosse di casa  fra i vertici  del partito. In prima pagina pubblichiamo le foto in cui è ritratto con tutti i big. Si comincia dal segretario Pier Luigi Bersani, che nell'istantanea pare in gran confidenza con l'ex presidente, al punto da sghignazzare felice. Si prosegue con Walter Veltroni, anche lui allegro e sorridente con a fianco il numero uno della banca, si passa a Susanna Camusso, che ride divertita delle battute che il banchiere rosso le rivolge, e a Stefano Fassina, che ascolta compunto l'ex presidente, per finire a un Giuliano Amato che accoglie fra le sue braccia un Mussari piegato in due dal divertimento. Nell'album non manca neppure uno scatto con Giorgio Napolitano, che è accompagnato dall'avvocato-finanziere in visita quirinalizia. Volendo, in archivio si possono rintracciare altre immagini, con Enrico Letta e diversi dirigenti, ma già quelle che pubblichiamo bastano a svelare la grande dimestichezza che l'uomo del Monte dei pacchi di Siena aveva con l'apparato del partito, dal quale peraltro proveniva.   Il fuggi fuggi da quella che giorno dopo giorno appare sempre più la Parmalat del Pd è del resto comprensibile. A meno di un mese dalle elezioni il grande crac rischia di essere letale per Bersani e per le ambizioni della sinistra di conquistare Palazzo Chigi. La voragine aperta nei conti dell'istituto e il tentativo di riempirla con i soldi che Monti ha rastrellato con l'Imu, sono una bomba che sta esplodendo con effetti devastanti sulle intenzioni di voto. Nessuno oggi è in grado di dire quanto lo scandalo dei derivati coperto con i soldi pubblici farà perdere al Pd, ma è certo che il Monte è una cambiale in scadenza che il partito di Bersani sarà costretto ad onorare a caro prezzo il 24 febbraio. Nascondere la vicenda sotto il tappeto, prendere le distanze o invocare dimenticati disegni di legge per la regolamentazione dei prodotti finanziari, non servirà a mascherare la verità e soprattutto  non basterà a far dimenticare che la banca per essere salvata ha bisogno di circa 4 miliardi di euro, più o meno l'equivalente di quanto sono stati costretti a pagare gli italiani a causa dell'Imu sulla prima casa. A questo proposito tuttavia c'è anche qualcos'altro da aggiungere e non riguarda il partito democratico ma l'attuale governo. Ieri, sollecitato a dare risposte a una domanda che noi per primi gli avevamo rivolto a proposito della decisione di finanziare l'istituto senese senza appurare quale fosse il vero stato di salute di Mps, Monti ha spiegato, per bocca del ministero dell'Economia, che la situazione era nota. Vittorio Grilli in un comunicato, chiarendo che i compiti di vigilanza non competono a lui ma alla Banca d'Italia, ha aggiunto che della crisi del Monte era a conoscenza da almeno un anno.  In pratica, l'uomo che tiene i cordoni della borsa e di questo Paese, ci ha fatto sapere che il dissesto non lo sorprende e che all'insaputa del mercato, degli organi di vigilanza, degli organismi che tutelano i risparmiatori, dei correntisti e di tutti gli altri che sono interessati a difendere il proprio denaro, lui sapeva. Da quel che abbiamo capito, sapeva e non ha fatto niente. Anzi no, qualcosa ha fatto. D'accordo con Mario Monti ha concesso un gentile prestito di circa 4 miliardi alla banca. Soldi pubblici, denaro sottratto alle tasche degli italiani e versato nelle casse di una banca che rischia il commissariamento e non si sa se e quando sarà in grado di restituirlo. Più volte abbiamo espresso dubbi sulle capacità tecniche dell'esecutivo. Più volte abbiamo criticato le scelte di politica economica dei bocconiani. Ma il comportamento tenuto nei confronti di Mps se possibile peggiora il nostro giudizio. Altro che governo degli esperti. Qui siamo di fronte al Monti dei fiaschi di Siena.  

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