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L'operazione salva-Silvio e il rischio trappolone

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L'ex premier ha scelto di attendere senza bordate un segnale politico sul suo futuro. Tra ipotesi di grazia e difesa dell'"agibilità politica" c'è un pericolo: farsi rosolare

Andrea Tempestini
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Dal giorno in cui Silvio Berlusconi è stato condannato a quattro anni di carcere, nel lessico quotidiano sono comparse due parole: «Agibilità politica». Per i frequentatori di Camera, Senato e Quirinale, questa potrebbe essere la formula magica in grado di risolvere tutti i problemi, da quelli del Cavaliere a quelli del governo, salvando entrambi. Un po' come un tempo nella prima Repubblica ci si inventò le «convergenze parallele», cioè un modo che unisse ciò che era destinato a rimanere separato, ossia la Dc e il Pci, ora si vuole tenere insieme il rispetto della sentenza - cioè la detenzione - con la libertà di fare politica. Dunque: Berlusconi sta in cella o in Parlamento? Fa il detenuto a tempo pieno terremotando la scena politica come un novello Edmond Dantès o il leader a mezzo servizio, come un carcerato in semilibertà che di giorno sta fuori e la notte la passa in cella? Decade da senatore e dunque è arrestabile subito o, pur privato del titolo di rappresentante del popolo, gli è consentito di frequentare le riunioni del suo partito con tutti gli onori del capo? La verità è che dietro la formuletta dell'agibilità politica ci sta tutto e il suo contrario. Per il centrodestra significa che, pur condannato, il Cavaliere non va in galera, perché appena messo piede in una cella Napolitano gli fa la grazia di rimetterlo fuori e consentendogli di ritornare a guidare il Pdl. Per il Quirinale invece potrebbe voler dire qualche cosa d'altro e cioè che, una volta privato dello scranno parlamentare, Berlusconi si dovrà fare da parte senza strillare, ritirarsi a vita privata e rassegnarsi a fare il padre nobile, che in realtà vorrebbe dire il padre assente. In cambio riceverebbe ciò che chiede.  È sul contenuto delle due parole, «agibilità politica», che si gioca tutto. Il vero nodo della questione non è se sia possibile, stante la situazione, un provvedimento di clemenza, ma che cosa rappresenti nei fatti la grazia e quali effetti produca sulla già disastrata scena politica.  Ieri i due Renati del centrodestra, Brunetta e Schifani, sono saliti al Colle per rappresentare la situazione e chiedere un intervento di Napolitano. Dal no comment che ne è seguito - inusuale per gente abituata ad esternare anche sulle condizioni atmosferiche - c'è da giurare che abbiano riportato la sensazione che la cosa si possa fare e che Napolitano non sia, in linea di principio, contrario. Del resto, a differenza di quanto scritto nei giorni scorsi da alcuni giuristi per caso, non è affatto vero che avere dei procedimenti penali pendenti (tipo il caso Ruby) sia un elemento che renda impossibile la concessione di una misura che annulli la pena: Alessandro Sallusti, che pure aveva altri procedimenti per diffamazione, è stato graziato proprio dall'attuale inquilino del Quirinale, il quale ha inteso così porre rimedio a una situazione che ci avrebbe fatti apparire come l'unico Paese europeo che mette in gattabuia qualcuno per un reato di opinione.  Il caso Sallusti è però replicabile se c'è di mezzo Berlusconi, cioè un tipo che mezzo Parlamento (e anche mezza Italia) non vede l'ora di seppellire nelle patrie galere? E soprattutto: il presidente della Repubblica ha voglia, nell'interesse del Paese, di caricarsi di una polemica che sarà dura e che rischia di spaccare il già frantumato fronte della sinistra? La soluzione al rebus politico della condanna del Cavaliere sta tutta nella risposta a queste due domande. Premesso che la sentenza della Cassazione con cui il leader del centrodestra è stato giudicato colpevole di frode fiscale lo può privare del seggio ma non della leadership, che si fa per evitare di avere dietro le sbarre il capo del maggior partito italiano e trasformarci in una Repubblica delle banane? Da quel che pare di capire, Berlusconi ha deciso di giocarsi tutte le carte di cui dispone, attendendo il tempo che ci sarà da attendere per vedere qualche segnale concreto. Nessun rovesciamento del tavolo, niente dichiarazioni bellicose. Per qualche settimana aspetterà paziente, confidando nel rinvio delle mozioni grilline che lo vogliono espellere subito dal Parlamento. Durante agosto forse si concederà qualche comizio contro la magistratura politicizzata, ma senza esagerare. Senza cioè dare il via ai fuochi d'artificio. Per il resto, silenzio. Ma basterà? O, una volta passata l'estate, si ritroverà con un pugno di mosche in mano e le manette ai polsi? Lo vedremo presto. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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