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Amnistia, Napolitano così non fa un favore all'Italia

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I provvedimenti chiesti dal Quirinale potrebbero tornare utili anche al Cav, ma per risolvere il problema della guerra fra giudici e politica basterebbe ripristinare l'immunità parlamentare

Nicoletta Orlandi Posti
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Poco meno di un mese fa, dopo uno dei suoi sermoni quotidiani, avevamo invitato Giorgio Napolitano ad inviare un messaggio alle Camere. Se davvero ritiene urgente una riforma della giustizia – scrivevamo – lo dica al Parlamento per le vie ufficiali. La Costituzione infatti prevede che quando il capo dello Stato consideri necessarie una riflessione o una legge, le solleciti rivolgendosi direttamente alle Camere con una sua lettera. A differenza di altri suoi predecessori, durante il suo primo mandato il presidente della Repubblica non ha mai fatto uso di questa prerogativa. Non perché abbia evitato di intromettersi nel dibattito politico, ma piuttosto perché ha reputato più conveniente agire dietro le quinte, indirizzando i governi con i sussurri invece che con le grida. Nonostante ciò, di mettere bocca sui temi che riguardano la giustizia e l'invasione dei giudici nel campo legislativo se ne è ben guardato sia ufficialmente che riservatamente. E infatti nei tribunali regna il caos. Da anni montagne di procedimenti giudiziari finiscono in archivio senza neppure essere stati presi in considerazione e migliaia di innocenti finiscono dietro le sbarre in attesa di essere prosciolti dalle accuse. Neppure le continue condanne della Corte europea hanno smosso il Quirinale e perfino il richiamo sull'impunità dei magistrati che sbagliano ma non pagano aveva lasciato il Colle silente. Ciò detto, sempre meglio tardi che mai. Così ieri, alla notizia che Napolitano si era deciso ad inviare il messaggio al Parlamento ci siamo affrettati a leggere la lettera. In dettaglio, trovate l'opinione del capo dello Stato nelle pagine interne. Per parte nostra ci limitiamo a riassumere per sommi capi le cose che ci hanno colpito. Il presidente della Repubblica parte dalla fine e non dal principio, cioè dai danni provocati dalla malagiustizia: ovvero dall'affollamento giudiziario. Affollamento che non ci sarebbe se da noi non si facesse ricorso con tanta facilità alla carcerazione preventiva. La Costituzione dice che un cittadino debba essere ritenuto innocente fino a che non sia intervenuta una sentenza definitiva che lo riconosca colpevole. Ciò nonostante a migliaia finiscono in gattabuia anche se nessun giudice – neppure in primo grado – si è ancora occupato di loro. Oh, lo sappiamo: di fronte a questa obiezione i pm rispondono che non sono loro a disporre gli arresti. Semplicemente li richiedono, ma poi è un gip a far scattare le manette. Foglia di fico buona per i gonzi, perché ci sono giudici per le indagini preliminari che fanno il copia e incolla, prendono cioè le accuse del pubblico ministero e le trascrivono tali e quali. Così, in cella finiscono anche tante persone innocenti nonostante non vi sia pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Basterebbe evitare che tutte queste persone fossero tradotte in manette e già le prigioni respirerebbero. Se in galera ci andassero solo i condannati in via definitiva e i delinquenti pericolosi, quelli che, pur non ancora giudicati, se rimessi in libertà susciterebbero allarme sociale, e il problema delle celle dove dormono uno sopra l'altro sarebbe risolto. E per far questo non c'è bisogno di cambiare la testa dei giudici, i quali magari sbagliano ma applicano la legge. No, per evitare che i cittadini in attesa di giudizio siano detenuti è sufficiente cambiare le norme che lo consentono o che addirittura lo prevedono. Così eviteremmo di dover parlare ad ogni legislatura di amnistia e indulto, provvedimenti di clemenza che dovrebbero essere eccezionali e che invece finiscono per diventare ordinari, quasi che per risolvere il problema dell'affollamento carcerario bastasse liberare la gente, rimandando a casa un po' di galeotti. Se i penitenziari scoppiano o si evita di mandare dentro chi non se lo merita o si costruiscono nuove case di pena. Altre ragionevoli vie non ne vediamo. Naturalmente non vogliamo tacere del risvolto politico del discorso di Napolitano. L'amnistia o l'indulto in qualche modo potrebbero incidere anche sulle sorti di Silvio Berlusconi, che tra pochi giorni sarà costretto a chiedere l'affidamento ai servizi sociali per espiare la pena inflittagli due mesi fa dalla Cassazione. La rinuncia da parte dello Stato a perseguire i reati cancellerebbe la condanna e, molto probabilmente, anche gran parte dei processi in cui il leader Pdl è coinvolto. Insomma, diciamo che si tratterebbe di una soluzione politica ad un caso politico come quello del Cavaliere. E però ci permettiamo di eccepire che per risolvere alle storture di una guerra tra l'ordine giudiziario e i poteri legislativo ed esecutivo, non serve aprire le celle e liberare tutti. Come abbiamo spesso ricordato, sarebbe sufficiente ripristinare l'articolo 68 della Costituzione che garantiva l'immunità ai rappresentanti del popolo. Napolitano lo dovrebbe sapere bene: durante i lavori dell'assemblea costituente, i più decisi sostenitori della necessità di proteggere il Parlamento dalle invasioni della magistratura furono proprio i deputati del Pci. Certo, allora non c'era ancora Berlusconi... di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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