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Niente scherzi: intervenire sarebbe un disastroCi guadagnerebbe Al Qaeda

Lucia Esposito
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Stati Uniti e Gran Bretagna sono pronti a intervenire in Siria. L'emittente Nbc rivela: "Non una lunga guerra ma tre gioni di attacchi", anche se la Casa Bianca precisa che si prendono in considerazionea anche alternative all'intervento militare. Più determinato il premier Cameron che annuncia: c'è un piano militare contro l'uso di armi chimiche in Siria da parte del regime. Il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino è stata causta spiegando che l'Italia non interverrà senza un mandato dell'Onu anche se poi in un comunicato di Palazzo Chigi Enrico Letta dice che "Con l'uso massiccio di armi chimiche in Siria si è superato il punto di non ritorno". "L'uso del gas - ha aggiunto Letta - è un crimine inaccettabile che non può essere tollerato dalla comunità internazionale" (LEGGI L'APPROFONDIMENTO). Da Damasco, intanto, arrivano le prime minacce all'Europa in caso di attacco militare. Il vice ministro degli Esteri Faisal Maqdad manda un messaggio a Londra e Parigi: hanno aiutato i terroristi ad usare le armi chimiche in Siria e gli stessi gruppi le useranno presto contro di loro. E ancora, l'agenzia iraniana Fars, vicina ai Pasdaran, anticipa: "Se Damasco viene attaccata, anche Tel Aviv verrà presa di mira e una vera guerra contro la Siria produrrà una licenza per attaccare Israele".  Di seguito l'anali di Carlo Nicolato sui motivi per cui intervenire militarmente in Siria significa aiutare al Qaeda   Le immagini di quei bambini innocenti uccisi asfissiati dal gas nervino e avvolti nel loro sudario bianco hanno inorridito tutti. Se fosse per quei visi di cera e senza più vita, verrebbe voglia di partire subito e far saltare una dopo l'altro i palazzi del potere di Damasco, distruggere senza badare troppo a conseguenze collaterali le caserme dell'esercito di Assad e farla finita una volta per tutte con questa inutile mattanza. Ma la realtà non è mai bianca o nera, la verità non è mai solo da una parte e in questo caso poi, viste le frequentazioni di una parte ben nutrita di ribelli che combattono l'aguzzino di Damasco, a qualcuno, e non solo l'Iran o la Russia, viene perfino il dubbio che per quanto riguarda il gas nervino ci sia una mezza montatura. Certo, c'è l'Onu che avrà il difficile compito di verificare, ci sono gli ispettori che dovranno indagare, ma quando la verità verrà fuori, se verrà fuori sarà perfino troppo tardi. D'altronde la guerra va avanti ormai da anni e nonostante le stragi - quella di qualche giorno fa non è certo la prima - nonostante le bombe e le torture, l'Occidente non è ancora intervenuto. E poi le armi chimiche sono sì un arma di distruzione di massa, ma non è che un missile o un autobomba facciano tanto bene alla massa.  Cinicamente però, per noi, per noi Occidente, il problema è un altro. La domanda da porci è quella se vale o meno la pena infilarci in una guerra che non ci appartiene, che effetti potrebbe avere un possibile intervento, che risultati otterremmo in termini di pace e di perdite di vite umane. Che vantaggi, insomma, ne avremmo. Otterremmo giustizia forse, ma il prezzo potrebbe essere molto elevato, su questo non ci piove. Non vedremmo forse più il gas nervino nelle mani di Assad, ma vedremmo altre bombe e altri morti, compresi i nostri. Il prezzo per rappacificare la Siria sarebbe comunque elevatissimo e in termini di tempo incalcolabile. L'esempio più limpido ci arriva  dall'Afghanistan. Quanto alla pace che ne verrebbe fuori anche su questo c'è da discutere, e non poco, e ancora il paragone con Kabul è scontato. Dopo dieci anni di sangue i talebani sono ancora lì, come probabilmente sarebbe molto complicato togliere di torno gli sgherri del partito di Assad, il Bath, che in Siria ha una tradizione quasi secolare.      Vota il sondaggio di Libeqoquotidiano.it:   secondo voi dobbiamo intervenire in Siria?     Da quelle parti poi il quadro è ancora più complicato, perché parte di quelli che andremmo ad aiutare, ovvero i ribelli, sono gli stessi che noi stiamo combattendo in Afghanistan, sono il braccio armato degli islamisti di tutto il mondo, quelli che i militari in Egitto hanno cacciato dal potere per evitare che trasformassero l'Egitto stesso nell'Afghanistan dei talebani, con l'unica legge cui fare riferimento la sharia. Per dirla molto più francamente, intervenire in Siria significherebbe andare a dare a una mano ad Al Qaeda, ad armarlo e a forgiare nuovi jihadisti e agguerriti terroristi. Tra i ribelli siriani, tanto per  fare solo un esempio,  ci sono perfino i takfiristi, tristemente noti in Algeria per aver sistematicamente sterminato gli altri islamici che non la pensavano come loro. Gente anche ora che compra i kamikaze per qualche dollaro per poi farli esplodere tra la gente ai mercati e di fronte alle moschee.    La guerra in Afghanistan, ma anche quella in Libia e in Iraq, e prima ancora in Kosovo, ci insegna poi che ovunque l'Occidente sia intervenuto, ne è sempre venuto fuori un esercito di jihadisti scalmanati pronti a combattere in altre battaglie in nome di Allah. O di terroristi pronti a farsi esplodere nelle metropolitane in nome dello stesso dio.  L'intervento in Siria dunque risolverebbe ben poco in termini di pace, e innescherebbe ancora una volta il domino del terrore che ancora paghiamo per le altre guerre che abbiamo fatto. All'Occidente non verrebbe in tasca nulla, e non in termini economici sia chiaro, anche se il riferimento ad altri interventi più interessati come quello in Iraq e in Libia viene facile. Non avrebbe alcun vantaggio in termini di sicurezza. Solo discrete magagne in più.  Obama lo sa bene. La sua attuale “non politica” in Medio Oriente, che sia casuale o dovuta alla sua non troppo felice predisposizione per la politica estera (e siamo fin troppo teneri), o che sia invece voluta, si inserisce appunto in questa logica, anche se poi giornali che lo vedono come un semidio gli fanno dire cose che non ha mai detto. La sua titubanza di fronte agli eventi, le sue promesse mancate, i suoi «forse», i suoi «dipende dall'Onu» quando all'Onu ci sono Cina e Russia che metteranno sempre il veto, i suoi «non bisogna dare nulla per scontato», la dicono lunga sulla sua volontà di agire. E per una volta, per il momento, noi siamo con lui. Così come siamo con il capo di Stato Maggiore americano, Martin Dempsey, che proprio ieri, mentre le segreterie occidentali mettevano sul tavolo le carte dell'intervento se ne usciva avvisando che «i ribelli siriani non fanno gli interessi degli americani». E nemmeno i nostri. Siamo perfino con Angela Merkel, che come per la guerra di Libia di due anni fa dice che è meglio trovare una soluzione politica. Siamo con lei, anche se sappiamo che per lei contano sempre e solo le elezioni di casa, esattamente come due anni fa. di Carlo Nicolato

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