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Siria, Obama: "Pronto all'attacco ma con il via libera del Congresso"

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Beirut, 31 ago. (Adnkronos) - "Ho deciso che gli Stati Uniti devono intervenire militarmente contro il regime di Assad". Lo ha annunciato il presidente Usa Barack Obama parlando dalla Casa Bianca sulla vicenda siriana. L'attacco con armi chimiche compiuto alla periferia di Damasco il 21 agosto scorso, ha scandito Obama, è stato "un assalto alla dignità umana". Un'azione che non si può tollerare. "I nostri responsabili militari ci dicono che possono colpire in qualunque momento, domani, la settimana prossima, tra un mese. Sono pronto a dare l'ordine. Siamo pronti a colpire quando decideremo di farlo" ma, aggiunto, "ho preso una seconda decisione. Chiederò l'autorizzazione per l'uso della forza al Congresso americano". Perché, ha spiegato, "so che il nostro Paese sarà più forte se passiamo attraverso il Congresso". "Il dibattito ci deve essere perché queste questioni sono troppo importanti. Ai parlamentari - ha detto - chiederò di votare per la sicurezza nazionale". Il presidente ha comunque tenuto a ribadire che "non si tratterà di un intervento illimitato nel tempo, che non ci saranno uomini sul terreno. Invece la nostra azione sarà limitata nella durata e negli obiettivi. Ma ho fiducia nel fatto che possiamo chiamare a rispondere il regime di Assad per l'uso delle armi chimiche, scoraggiare questo tipo di comportamento e depotenziare la loro capacità di ripeterlo". Per Obama "è il momento di mostrare al mondo che l'America mantiene i suoi impegni". La prima riunione prevista dal Congresso al rientro dei parlamentari è fissata per il 9 settembre. Intanto la tensione continua a crescere. Durissima la reazione di Damasco. L'esercito siriano "è mobilitato, ha il dito sul grilletto", ha dichiarato il primo ministro siriano, Wael al-Halqi, in una nota diffusa dalla tv di Stato. "L'esercito è pronto ad affrontare tutte le sfide e tutti gli scenari", ha aggiunto al-Halqi. Alla tv di Stato siriana è stato letto anche un comunicato del ministero degli Esteri in cui si sostiene che le prove diffuse dall'intelligence Usa non sono altro che "falsità". "Ciò che l'amministrazione Usa definisce come prove inconfutabili altro non sono che leggende trite che i terroristi (i ribelli, ndr) stanno diffondendo da più di una settimana: sono falsità assolutamente inventate", ha sottolineato il regime. Il team di ispettori Onu incaricati di investigare sul presunto uso di armi chimiche in Siria ha lasciato Damasco ed è arrivato in Libano. Secondo quanto ha affermato ieri il segretario di Stato americano, John Kerry, citando un rapporto dell'intelligence Usa, l'attacco ha provocato 1.429 morti, tra cui 426 bambini. L'Esercito siriano libero (Esl), ala militare dell'opposizione al regime di Damasco, ha annunciato l'uccisione del generale di brigata delle forze lealiste, Mohammed Aslan, indicato come il responsabile del massacro. La San Antonio, una delle navi da trasporto anfibio della Marina Militare Usa, si è unita alla flotta di cinque cacciatorpedinieri Usa armati di missili da crociera Tomahawk e quattro sottomarini nucleari già presente nelle acque del Mediterraneo Orientale. I cacciatorpedinieri sono la Gravely, la Mahan, la Barry, la Stout e la Ramage. La San Antonio può trasportare fino a 800 marines ed è dotata di mezzi da sbarco ed elicotteri. Il presidente russo Vladimir Putin ha bollato le accuse statunitensi al regime siriano riguardo l'uso di armi chimiche come "sciocchezze assolute", stando a quanto riporta la Bbc. Secondo Putin le potenze mondiali dovrebbero discutere della crisi siriana al vertice del G20 a San Pietroburgo la prossima settimana. "E' una buona piattaforma per discutere il problema. Perché non usarla?", ha affermato il leader del Cremlino, parlando con i giornalisti a Vladivostock, dicendosi convinto "che l'attacco chimico non sia niente di più che una provocazione da parte di quanti intendono trascinare altri paesi nel conflitto siriano e che vogliono assicurarsi l'appoggio di membri potenti della scena internazionale, in particolare gli Stati Uniti". Il presidente russo ha quindi sfidato Obama a presentare le sue prove in Consiglio di Sicurezza. A farsi sentire è anche l'Iran, pronto a difendere Damasco da ogni aggressione. Lo ha messo in chiaro il presidente della Commissione Sicurezza Nazionale e Politica Estera del parlamento di Teheran, Alaeddin Boroujerdi, in una nota diffusa prima del suo arrivo in Siria. Nel comunicato, Boroujerdi ha sottolineato che un eventuale intervento armato contro il regime di Damasco "incendierà" la regione e "l'entità sionista e l'Occidente" ne pagheranno "per primi" le conseguenze. Per il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, un eventuale intervento militare in Siria dovrebbe avere l'obiettivo di far cadere il regime di Bashar al-Assad. L'azione militare, ha affermato Erdogan incontrando i giornalisti ad Ankara, "non può durare 24 ore", sul modello "colpisci e scappa". "Ciò che importa - ha rimarcato - è fermare il bagno di sangue in Siria e indebolire il regime fino al punto di farlo cadere". Per l'Italia il premier Enrico Letta ha ribadito la linea del non interveno. Comprendiamo l'iniziativa di Stati Uniti e Francia, alla quale però, senza le Nazioni Unite, non possiamo partecipare. La settimana prossima a San Pietroburgo faremo di tutto perche' si trovi una soluzione politica al dramma siriano". Domani sulla crisi siriana si terrà una riunione dei ministri degli Esteri della Lega Araba.

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