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Corea del Nord, il ricatto dei Bitcoin: così Kim Jong-un ha estorto un tesoro

Andrea Tempestini
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La Corea del Nord di Kim Jong-un, almeno secondo l'intelligence di Seul, sarebbe stata l'artefice non soltanto del virus Wannacry, ma anche dell'attacco hacker alle criptovalute, il Bitcoin in particolare. La notizia viene rilanciata dalla Bbc, che riferisce come almeno 7 milioni di dollari sarebbero stati rubati (oggi il valore è decuplicato, pari a 82,7 milioni di dollari). Gli hacker, inoltri, avrebbero messo le mani sui dati personali di 30mila persone. Secondo gli esperti, l'obiettivo di Pyongyang sarebbe quello di "ripagarsi" le sanzioni fiscali alle quali è sottoposto il regime: da tempo, infatti, si sospetta che Kim Jong-un abbia accumulato un tesoro in Bitcoin, da utilizzare proprio contro le sanzioni. Il network preso di mira dalla Corea del Nord sarebbe Bithum, fondato in Corea del Sud: si tratta del quinto al mondo per volume di transazioni. In seguito alla violazione, gli hacker hanno chiesto un riscatto di vari milioni di dollari alla compagnia per restituire i dati personali dei trader. Leggi anche: Corea del Nord-Cina, fuoco (vero) al confine

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