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Aquarius, la Libia minaccia l'Italia: "Abbiamo altri 52mila profughi pronti a partire"

Matteo Legnani
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La chiusura dei porti alla nave Aquarius ha riportato la questione dell'immigrazione al centro del dibattito politico sul lato settentrionale del Mediterraneo. Ma non è certo sfuggito a sud, in Libia, il Paese in cui ormai da anni si raccolgono i disperati che poi si imbarcano per lo più diretti verso le coste del nostro Paese. E così, da Tripoli, è partita quella che è una vera e propria minaccia: "Come voi sapete - ha detto un portavoce delle milizie libiche - nei nostri campi ci sono 52.031 potenziali richiedenti asilo da Siria, Sudan, Palestina ed Eritrea. Se partono, dovreste prenderveli tutti. Meglio, quindi, che non partano". Meglio, sì, ma è chiaro che dalla Libia alzano il prezzo. Perchè il ministro Minniti, per frenare l'enorme afflusso di immigrati, aveva sì messo fuori gioco gran parte delle navi delle Ong e aumentato la sorveglianza nel canale di Sicilia, ma aveva anche aperto i cordoni della borsa. E in Libia vogliono che quei cordoni, ora, restino aperti. Matteo Salvini ha annunciato che entro fine mese il suo obiettivo è quello di andare nel Paese africano. Certo, il piano è quello di creare grandi centri di accoglienza sotto la supervisione dell'Onu. Ma tanto al presidente Serraj, quanto al generale Haftar, questo non basterà. Lo hanno già evidenziato i contatti che gli emissari della ambasciata italiana in Libia hanno avuto coi due uomini forti del Paese africano proprio per preparare la missione del nostro ministro dell'Interno: serve che il flusso di danaro verso la Libia non si interrompa. Proprio per garantire quei fondi, nei giorni scorsi l'Italia ha messo una riserva formale sul bilancio dell'Unione europea, chiedendo alla commissione garanzie che vi siano soldi sufficienti e disponibili per il Fondo per l'Africa, lo strumento finanziario usato per i progetti comunitari con la Libia. Non solo soldi: da Tripoli vogliono anche armi per sostenere la guardia costiera. Per questo, chiedono che l'embargo sia levato. Leggi anche: Serraj e Haftar, quella riunione dei due capi della Libia a Parigi con Macron

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