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Sana Cheema, tutti assolti gli undici imputati per l'omicidio della ragazza "troppo occidentale"

Davide Locano
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Secondo il giudice "non ci sono prove sufficienti e mancano testimoni". E così gli undici imputati per l'omicidio di Sana Cheema, la 25enne italo-pachistana strangolata a Mangowal, nel distretto di Gujrat, il 18 aprile dell'anno scorso perché voleva sposare un italiano, sono stati tutti assolti. Tra gli assolti anche il padre Ghulam Mustafa, il quale imporle contro il suo volere le nozze con un parente, il fratello Adnan Mustafa e lo zio Mazhar Iqbal. Lo scorso maggio il laboratorio forense del Punjab, dove erano stati analizzati i campioni in seguito alla riesumazione del corpo, aveva dimostrato che a Cheema era stato "rotto l'osso del collo". In buona sostanza l'avevano strangolata fino ad ammazzarla. Secondo l'accusa la 25enne, nata in Pakistan ma cresciuta in Italia, sarebbe stata uccisa in patria dal padre e dal fratello dopo aver detto loro che voleva sposare un italiano. Un delitto d'onore, insomma, che con assoluta probabilità resterà senza colpevoli. Già: tutti e undici gli imputati per questa atroce esecuzione sono stati assolti perché, a detta del giudice pachistano, "non ci sono prove sufficienti e mancano testimoni". Sana viveva a Brescia, dove aveva anche studiato. A Milano aveva trovato un lavoro. Una ragazza integrata che aveva anche trovato un fidanzato italiano. Troppo occidentale, insomma. I genitori avevano vissuto con lei per anni, ottenendo anche la cittadinanza italiana, poi si erano spostati in Germania. Un paio di mesi prima dell'omicidio, la ragazza era tornata in Pakistan, nel distretto di Gujrat dove era nata, ritrovando in quella occasione la famiglia, ma da lì non è più rientrata in Italia. Un omicidio che ricorda molto da vicino il caso di Hina Saleem, la giovane sgozzata nel 2006, sempre nel Bresciano e sempre dai famigliari pachistani, per la stessa ragione che ha portato alla morte di Sana: essersi innamorata di un ragazzo italiano e volerlo sposare.

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