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Francia, a cosa si sono ridotti gli "orfani di Sarkozy" per farsi votare dagli islamici: il caso-moschee che scuote il Paese

Mauro Zanon
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Lo scorso 24 giugno, tra il primo e il secondo turno delle elezioni regionali francesi, Laurent Jacobelli, capolista del Rassemblement national nel Grand Est, si recò a Farébersviller, nel dipartimento della Mosella, dove l'Union des Démocrates Musulmans Français aveva raccolto il 28% dei suffragi: numeri mai raggiunti da un partito comunitarista islamico in Francia. «È qualcosa di molto grave per la nostra Repubblica laica. Una lista che si presenta per portare avanti l'agenda di una comunità religiosa, con rivendicazioni come l'uso del velo, non può trovare posto in Francia (...) Se si continua così, avranno presto sindaci e deputati», dichiarò al settimanale Valeurs Actuelles Jacobelli. Nella stessa, l'attuale consigliere regionale lepenista del Grand Est, spiegò soprattutto qual era il principale motivo della sua trasferta a Farébersviller: denunciare l'islamo-destrismo, ossia l'alleanza, per ragioni elettorali, tra l'islam politico e la destra gollista.

 

 

 

Salamelecchi

Il giornalista Joachim Véliocas fu uno dei primi, nel 2010, ad aprire il vaso di Pandora della destra che fu di Sarkozy nel libro "Ces maires qui courtisent l'islam": enumerando i corteggiamenti e gli inchini di innumerevoli sindaci gollisti, e non solo goscisti, alle comunità islamiche, sempre più influenti per gli esiti delle elezioni locali. Si parlava di Alain Juppé, ex primo ministro e pupillo di Chirac, che da sindaco di Bordeaux aveva concesso per un euro simbolico 8.500 metri quadrati di terreno all'Associazione dei musulmani della Gironda per innalzare la loro moschea. Ma anche di Fabienne Keller, oggi macronista ma nel 2004 soldatina dell'Ump (diventato nel 2015 Les Républicains), che da sindaca di Strasburgo pose la prima pietra di quella che diventerà nel 2025 la moschea più grande d'Europa (progetto da 32 milioni di euro, 2,5 dei quali verranno sbloccati dal comune).

Ordine dall'alto

A distanza di undici anni, la situazione è peggiorata in maniera assai inquietante, e Véliocas avrebbe molto materiale per aggiornare il suo libro, dando per esempio un'occhiata a quello che sta accadendo a Metz, a un'ora e mezza di strada da Strasburgo, dove il sindaco gollista François Grosdidier, ex senatore, giustifica così l'innalzamento di una mega moschea nella città che dirige da poco più di un anno: «Mi è apparso Allah sopra il cielo di Metz e ho deciso di autorizzare la costruzione». Il futuro luogo di culto si estenderà su 5.649 metri quadrati, sarà dotato di un minareto alto 34 metri, di un museo per l'immigrazione e anche di un istituto del mondo arabo. Lo stesso Grosdidier, nel 2008, quando era sindaco Ump di Woippy, comune della Mosella, aveva finanziato con i soldi dei contribuenti (tre milioni di euro) un grande "centro culturale islamico" che può accogliere fino a 1.800 fedeli. Nel 2015, intervistato da France Bleu Lorraine, Grosdidier diceva tranquillamente che «la Francia ha quarant' anni di ritardo» sul numero di moschee. Troppo poche 2.200 (oggi sono già più di 2.500) per 6 milioni di musulmani: «Bisogna raddoppiarle», affermò. Sono lontani i tempi in cui Charles de Gaulle, appena eletto presidente della Repubblica, metteva in guardia i francesi dall'islamizzazione. «I musulmani, siete andati a vederli? Li avete osservati con i loro turbanti e le loro djellaba? Vedete bene che non sono francesi», disse il fondatore della Cinquième République al suo fedelissimo Alain Peyrefitte ("C'était de Gaulle", '94), aggiungendo che chi credeva nell'integrazione aveva «il cervello di un colibrì» e che presto, senza un cambio di direzione radicale, il suo comune di residenza, Colombey-les-Deux-Églises, si sarebbe chiamato Colombey-les-Deux-Mosquées. Chissà cosa direbbe oggi De Gaulle di uno come Grosdidier, che si sente erede del gollismo, ma è soltanto il simbolo della malinconica crisi di identità e di valori di una destra francese che imita la sinistra anche nelle sue peggiori derive.

 

 

 

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