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Ucraina, la variante-Covid nell'Armata Rossa: non soltanto le bombe, "ecco che cosa accade al fronte"

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Alessandro Gonzato
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C'è una guerra di missili, carrarmati, due eserciti in campo, distruzione e miseria. E poi c'è un nemico comune, senza bandiera, subdolo, conosciuto da tempo, che si stava ritirando ma che tra bombe e soldati ha ricominciato ad avanzare. Al fronte e tra le macerie l'ultimo pensiero è il Covid, in rotta in Europa occidentale - quasi uscito dalle cronache se non da quelle di regime- e ora comprensibilmente trascurato ad Est. I veri pericoli, quelli che terrorizzano, oggi per questa povera gente vengono dal cielo e dalle strade. E però in terra di pace, dove attualmente l'unico dramma è il criminale caro-bollette, abbiamo il tempo di osservare come il virus soprattutto in Ucraina, ma anche Russia, sia in ripresa. Un pericolo amplificato dal fatto che in Ucraina parte del personale è già scappato dagli ospedali e chi è rimasto può dedicarsi soltanto ai feriti.

 

 

L'ultimo bollettino-Covid emanato da Kiev risale a giovedì: 27 mila nuovi contagi, 35 mila nuovi ricoveri, 276 morti e 646 mila casi attivi, numeri in rialzo rispetto a quelli di una settimana fa. Di ieri, sabato e venerdì non ci sono dati, e d'altronde le priorità del ministero della Salute sono diventate altre. La Russia, invece, da tre giorni viaggia a 125 mila nuove infezioni quotidiane, quasi 800 morti, 150 mila ospedalizzazioni ogni 24 ore e i casi attivi sono oltre 2 milioni e mezzo. Peraltro, per entrambe i Paesi, è chiaro che si tratta di cifre notevolmente sottostimate data l'arretratezza del sistema sanitario da una parte, e dall'altra la vastità di una nazione in cui milioni di persone vivono lontani dai servizi più elementari. In Ucraina soltanto il 33% è vaccinato con due dosi. In Russia si aggira sul 50: una cifra univoca non si trova.

L'Ucraina non riconosce il vaccino russo Sputnik, mentre la Russia non riconosce i vaccini fabbricati ad occidente e somministrati in Ucraina. I soldati ucraini, stando a quanto dicono i media locali, sono quasi tutti vaccinati (99,3%), ma è chiaro che è un dato non verificabile, così come quello che riguarda le truppe di Putin, al cui interno stando a quanto è trapelato da Mosca il Covid stava cominciando a riprendere significativamente quota in modo sintomatico, e anche questo avrebbe spinto lo zar ad accelerare le operazioni militari, per non dover attendere la guarigione di migliaia di soldati concedendo all'Ucraina e all'Europa il tempo di prepararsi. È comunque evidente che dal punto di vista epidemiologico da quel lato della barricata il pericolo maggiore lo corrono i civili, in parte ammassati in scantinati adibiti a rifugi, altri in fuga verso la Romania, la Moldavia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, tutti Paesi a loro volta poco coperti dai vaccini, e dunque l'esodo oltre a creare problemi sociali potrebbe accentuare quello sanitario. In Moldavia è vaccinato appena il 25% della popolazione, in Polonia il 57, in Ungheria il 63, in Slovacchia il 48. Una moltitudine di ucraini prima che il Paese finisse paralizzato hanno affollato treni e autobus per scappare. Gli altri hanno stipato le auto. Il New York Times ha riportato la riflessione di Eric Toner, esperto del Center for Health Security della Bloomberg School of Public Health "Johns Hopkins University, secondo cui tutto ciò «rischia di causare un'inversione nei progressi registrati fino a qualche giorno fa».

 

 

 

Si stima che possano essere fino a 5 milioni gli ucraini rifugiati nei Paesi limitrofi. Si creeranno tendopoli. Per Toner «sarà un disastro». Scontato che in Ucraina il tracciamento dei contagi salti e l'esperto della Johns Hopkins sospetta che «smetteremo di ricevere molti dati dalla nazione, perché non sarà questa la priorità dei dipartimenti sanitari». Purtroppo è già successo. L'infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive "San Martino" di Genova, riporta a Libero le sue esperienze professionali in Ucraina: «Ci sono stato più volte. Il loro sistema sanitario è paragonabile al nostro negli anni '50. La stessa ritrosia a vaccinarsi è figlia di una barriera culturale nei confronti del vaccino, ed è chiaro che pur essendo in questo momento l'ultimo dei loro pensieri ci potrebbe essere un peggioramento del quadro pandemico». Bassetti però non vuole essere allarmistico: «Per fortuna siamo quasi in primavera, quando la circolazione dei virus diminuisce sensibilmente». Poi aggiunge: «Se non possiamo aiutare gli ucraini direttamente, facciamolo dal punto di vista sanitario».

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