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Vladimir Putin, soccorso islamico alla Russia: "Verso un'intesa sul petrolio", l'obiettivo della guerra sono gli Usa?

Marco Respinti
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Arabia Saudita e Cina studiano la possibilità di pagare in yuan (la valuta cinese) le forniture di oro nero dell'una all'altra. Lo rivela The Wall Street Journal (WSJ) e la notizia è grossa. Riad è il maggior produttore di petrolio del mondo (il secondo è la Russia, il terzo gli Stati Uniti). Detiene il 17% delle riserve conosciute e da sola soddisfa circa un decimo della domanda mondiale. Attualmente l'80% degli scambi petroliferi avviene in dollari statunitensi e dal 1964, in seguito a un accordo con Washington in cambio di sicurezza, Riad utilizza per il greggio esclusivamente il biglietto verde. Un nuovo riassetto petrolifero in yuan sarebbe dunque in grado di mettere in ginocchio il predominio del petrodollaro, segnando lo spostamento del baricentro strategico mondiale.

 

 

BLOCCO RIVALE
Certo, un'Arabia Saudita eurasista non sembra all'ordine del giorno, ma la mossa di Riad, alleato storico di Washington, e tale a caro prezzo (dagli attentatori dell'Undici Settembre al caso Jamal Khashoggi), è clamorosa. Si vocifera che potrebbe essere per il mancato sostegno americano ai bombardamenti sauditi in Yemen, ma forse a pesare di più è l'incrinatura prodotta dall'amministrazione Biden nel blocco sunnita-saudita soprattutto con il tentativo conciliatorio sul programma nucleare dell'Iran (uno dei perni del blocco rivale, in cui figurano pure Siria e Russia). Preoccupa dunque certamente Riad, ma forse preoccupa ancora più Pechino. Come ricorda il WSJ, alla Cina va oggi già più di un quarto del greggio esportato dai sauditi: se quel petrolio venisse scambiato in yuan, lo sforzo per contenere lo straripare globale della Cina potrebbe essere seriamente frustrato. Del resto è dal 2018 che Pechino cerca di piazzare lo yuan sul mercato mondiale del greggio, ma fino a oggi senza successo. Forse ci riusciranno gli sceicchi. L'intesa cordiale fra gli uni e gli altri non è infatti una novità. La Cina ha aiutato l'Arabia Saudita a costruire i propri missili balistici, ha avuto consulti su un programma nucleare e ha iniziato a investire nei progetti preferiti del principe ereditario Mohammed bin Salman, come Neom, una nuova città futuristica. E il plauso saudita al genocidio cinese degli musulmani uiguri nello Xinjiang chiude il cerchio.

 

 

NON SOLO ARMI
Non tutti però a Washington gongolano. E agganciare il riyal saudita, che oggi è ancorato al dollaro statunitense, allo yuan cinese potrebbe generare scossoni che forse Riad potrebbe non sapere gestire. Ora, la Cina di Xi Jinping non ha mai fatto nulla per nulla e c'è da scommettere che queste novità, vere o auspicate, c'entrino con il «Patto delle Olimpiadi», siglato da Pechino e Mosca il 4 febbraio come fondale all'invasione dell'Ucraina e con le sanzioni che ne sono seguite. Secondo la CNN, infatti, Mosca starebbe chiedendo a Pechino non solo armi e denaro, ma pure cibo. Per le truppe. Tutto da confermare, ma aumenta il numero dei soldati russi in cerca disperata di cibo in Ucraina, e questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il voluto blitzkrieg di Mosca ha invece già più di 20 giorni. A dire che è solo propaganda americana è la Cina, ma è sempre la Cina, olimpionica di fake news, a dirsi «imparziale e costruttiva» sull'invasione dell'Ucraina.

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