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Leopoli, la Russia bombarda missili e mortai italiani: l'ultimo colpo di Vladimir Putin

Daniele Dell'Orco
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L’hub militare polacco di Rzeszow, in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, si è trasformato da un paio di settimane nella Santa Barbara dell’esercito di Kiev. È quello, infatti, l’epicentro del mega ponte aereo che i Paesi della Nato e in generale tutti gli Stati che inviano armi a sostegno della resistenza ucraina. E sempre lì arriveranno in queste ore anche i rifornimenti epocali promessi dal Presidente americano Joe Biden: aiuti da 1 miliardo di dollari compresi 800 sistemi di difesa aerea (i sofisticati S-300), 9mila sistemi anticarro, droni, armi leggere e munizioni. Il via vai di velivoli sia civili che militari è interminabile. E, talvolta, può capitare che si unisca l’utile al dilettevole, come denunciato dagli operatori di terra dell’aeroporto «Galileo Galilei» di Pisa, che si sono rifiutati di caricare armi «nascoste» tra gli aiuti umanitari diretti a Rzeszow. Il nostro Paese, è un segreto ma fino a un certo punto, invia lanciatori stinger antiaerei, mortai da 120 mm, missili spike anticarro, mitragliatrici pesanti browning, colpi browning, razioni K (cioè il pasto militare giornaliero), mitragliatrici leggere, colpi anticarro, lanciatori anticarro, radio,elmetti e giubbotti antiproiettile.

 

 

Come quelle di tutti gli altri, però, anche le nostre forniture che partono pure dallo scalo «Mario de Bernardi» di Pomezia (tra quelli certi) contengono medicine, cibo, coperte e vestiti. A Pisa, insomma, sembra che i materiali si siano per così dire "mescolati". Una volta caricati, aerei come o Boeing KC767A o i C-130J "Hercules" arrivano in Polonia giusto il tempo per lo smistamento delle merci su ruota, e vengono scortate lungo l’autostrada che porta in Ucraina attraverso il punto di confine di Korczowa, al momento solo carrabile. Una volta dentro non è dato sapere ovviamente dove vengano stoccati, mai vari depositi sono in Ucraina occidentale proprio come quello di Javoriv, a due passi da Leopoli e dai confini dei Paesi Nato, incenerito dai missili russi che oltre ai depositi di rifornimenti hanno colpito anche decine di contractor stranieri: il bollettino ufficiale parla di 35 morti, secondo i russi sarebbero stati almeno il quadruplo, tra brasiliani, polacchi, britannici, coreani, georgiani e anche americani, uno dei quali, superstite, ha inviato una testimonianza fotografica pubblicata dal New York Times. La via delle armi che da mezzo mondo porta all’Ucraina, insomma, passa anche per l’Italia.

 

 

E anzi, per bocca dell’Alto Commissario UE Joseph Borrell, a gestire questo mastodontico inventario studiato in base alle esigenze di Kiev e poi presentato ai vari Paesi alleati, sono un generale italiano e un ammiraglio francese che a Bruxelles si coordinano direttamente con lui. Sui nomi c’è ancora un certo riserbo, ma è pressoché certo che a questo processo partecipino i vertici dell’European Union Military Committee, il più alto organo militare per la sicurezza comune europea guidato dal generale Claudio Graziano, e dello European Union Military Staff, specializzato tra le altre cose in pianificazione logistica strategica e presieduto dal vice ammiraglio Hervé Bléjean. Gli identikit, insomma, combaciano. Senza la possibilità di imbastire la no-fly zone invocata a più riprese dal presidente ucraino Zelensky, i rifornimenti dal valore complessivo di circa 3 miliardi arrivati dai sostenitori di Kiev, compresa l’Italia, sono tutto ciò che l'Ucraina può utilizzare per evitare che le città sotto assedio, Mariupol, Kharkiv e la stessa capitale, possano cadere nel giro di 72/96 ore come ipotizzato dal Pentagono.

 

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