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Dugin, contro Cristo, Occidente e diritti umani: chi è il nuovo Rasputin

Corrado Ocone
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 È difficile stabilire quanto il pensiero di Aleksandr Dugin, che è strutturato e complesso come quello di ogni pensatore di una certa statura, abbia influito sulle idee che via via ha maturato Vladimir Putin, che è invece uomo pratico e pragmatico, non particolarmente avvezzo a prima vista alle più sofisticate speculazioni filosofiche. Quel che è sicuro è che a un certo punto le mire espansionistiche e imperialistiche della politica del leader russo hanno trovato una vaga giustificazione teorica in alcune idee dell'eccentrico teorico dell'euroasiatismo, quelle efficacemente sintetizzate ad esempio nel suo libro forse più noto: "La quarta teoria politica", del 2009. Chi più di lui può considerarsi un critico implacabile dell'Occidente e del liberalismo, del capitalismo e dell'americanismo, proprio come ha detto di essere in più occasioni Putin? Bisogna però stare attenti nel trarre facili conclusioni: Dugin critica l'Occidente non per quel che è diventato, per la deriva materialistica e relativistica delle sue élite, ma per un difetto che lo contrassegnerebbe fin dalle sue origini cristiane. L'Occidente, in altre parole, non poteva non diventare quel che è diventato perché è malato nella radice. In particolare, è nella tradizione del nominalismo cristiano, cioè nella riduzione delle essenze ideali a meri nomi, che è da ritrovare per Dugin l'origine di quell'atomismo che ha ridotto l'uomo a individuo portandolo a inseguire il benessere e l'utile immediato al di là di ogni rifermentò ai valori e al "bene comune" della società in cui vive. È indubbio che in questa lettura giochi molto l'influenza di Nietzsche, e anche in qualche modo di Heidegger, autori occidentali con cui Dugin si è confrontato continuamente, insieme ai loro epigoni francesi teorici del postmoderno (Derrida, Deleuze, Guattari), durante i suoi soggiorni parigini soprattutto negli anni Ottanta.

 

 


Soggiorni nei quali Dugin strinse un sodalizio intellettuale molto stretto con Alain de Benoist, il teorico della Nuova Destra, che però successivamente si scostò dalle posizioni sempre più imperialistiche del filosofo russo. La critica del cristianesimo di Dugin sfocia in un paganesimo molto sui generis, di tipo spiritualistico e con forti venature esoteriche e misticheggianti. In una parola, è all'altra Russia, quella che guarda ad Oriente, ai popoli delle steppe e della Siberia, alle civiltà non permeate dal cristianesimo, che Dugin fa riferimento e che prende come modello ideale non a quella dell'Ortodossia che ha nel patriarca di Mosca, la "terza Roma", il suo riferimento. La teoria politica di Dugin è "quarta" sia perché intende superare comunismo, fascismo e liberalismo sia perché il quattro rappresenta Giove, il Dio dell'ordine e dell'armonia.

 

 

 


Fra i fondatori con Limonov del partito nazional-bolscevico, il pensiero di Dugin è in qualche modo oltre le categorie di destra e sinistra e può essere definito sia "fascista" (Evola è un altro dei maestri del suo pantheon) sia "socialista". Ciò però a una doppia condizione: che al fascismo si restituisca il suo carattere originario di movimento con una forte impronta socialisteggiante e anarco-sindacalista e il socialismo lo si concepisca «senza materialismo, ateismo, modernismo e progressivismo». L'idea di nazione è in lui centrale, in quanto unità organica di una comunità.

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