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Xi Jinping, la rete: finanzieri e politici, come sta manipolando il mondo

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Marco Respinti
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Dire «comunismo» è cringe. Lo fanno i matusa in cerca di facili glorie politiche su Tik Tok. L'ultimo pezzo se l'è portato Mikhail Gorbaciov nella tomba. Forse. Perché c'è un oceano sulla terraferma di 1 miliardo e 300 milioni di persone inquadrate in un regime comunista che, senza troppi giri di parole, mostra perché valga la pena di continuare a chiamare il nostro «mondo libero». È la Cina, ed è un mostro di bravura nel vendere agli avversari, come diceva Lenin, la medesima corda con cui poi li impicca. La Cina rossa è un misto di tecnologia avveniristica e di arretratezza ideologica. L'high-tech più spinto è made in China, ma serve per scambiare informazioni sensibili e sorvegliare tutti in un Panopticon gigantesco. Intanto la vecchia locomotiva marxista-leninista corre contro il tempo, alimentata da fuochisti ottocenteschi il cui frasario sembra uscito da una vignetta di Giovannino Guareschi sui trinariciuti. Congressi fumosi dove sfingi dagli occhi a mandorla rivaleggiano a chi mostra meno espressioni facciali, piani pluriennali di sviluppo di cartapesta o irrorati dal sangue di nuovi schiavi, le povertà utopisticamente eliminate per decreto socialista, quadri di partito "promossi" che scompaiono all'improvviso, purghe anti "corruzione" e l'ubiqua repressione di ogni dissenso, la straripante propaganda delle agenzie atte al controllo sociale essendo lo smacchiatore miracoloso che cancella ogni traccia del sangue versato.

 

 

 

PAGINE RIVELATRICI

Che la Cina sia comunista lo rivendica orgogliosamente la Cina comunista. Lo dimostra, utilizzando materiali comunisti cinesi, il libro (che andrebbe tradotto anche in italiano) Rouge vif. L'idéal communiste chinois (Éditions de l'Observatoire, Parigi 2020) di Alice Ekman, analista nell'Istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza. L'élite al potere stringe e costringe il Paese: lo sfrutta, lo usa, lo dismette quando è esausto, e a lungo andare il Paese si abitua. Chi è nato immerso nel suo avvenirismo arretrato non vede più la differenza e i più vecchi hanno dimenticato il mondo vero oltre il Truman Show allestito dal regime. Persino gli intellettuali occidentali ci cascano. Il politologo indiano naturalizzato statunitense Parag Khanna e il sociologo canadese Daniel Bell (da non confondere con l'omonimo statunitense, scomparso nel 2011) propongono una neo-tecnocrazia sul modello efficientista cinese che scambi sicurezza per libertà e che dell'ideologia usi soprattutto la meccanica, colla sociale a presa rapida sparata con la pistola. È il comunismo anestetico del futuro. Il CoViD-19, confinato per via poliziesca nei falansteri multipiani delle vie desertificate di Wuhan e di mille altre città, ne è stata la prova generale. E mentre in Cina a milioni sono ancora inspiegabilmente confinati nel lockdown di Stato, il virus ha officiato il matrimonio fra chi ancora sogna la fine prêt-à-porter della storia e il governo dei tecnici con caratteristiche cinesi. Nel giugno 2020 i tribunali bloccarono la pubblicazione in Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna di un libro esplosivo quanto lo è la verità: La mano invisibile. Come il Partito Comunista Cinese sta rimodellando il mondo, pubblicato poi in italiano da Fazi. L'australiano Clive Hamilton, docente alla Charles Sturt University di Canberra, e la tedesca Mareike Ohlberg, del programma Asia del German Marshall Fund, non furono però fermati da Pechino, bensì da un suo cliente, l'influente businessman britannico Stephen Perry. Perché il libro di Hamilton (cui nel 2018 era già stato ostacolato Silent Invasion: China' s Influence in Australia) e della Ohlberg dimostra come Xi Jinping, gran maestro di mixology, stia shakerando l'eredità di Marx, Lenin, Stalin e Mao in un Manhattan sbagliato dentro coppe cavate da teschi onde convincere il mondo che, la sai l'ultima?, il comunismo funziona meglio, ma molto meglio di qualsiasi democrazia.

 

 

 

GLI APPOGGI NEGLI USA

Al mercato Xi Jinping ha tanti amici. Nei media del mondo (con l'Italia che resta un caso di scuola), nella finanza (di Goldman Sachs), nell'industria, nel commercio e nella politica. Hamilton e la Ohlberg documentano i legami, amorosi o di convenienza, che il Partito Comunista Cinese vanta nella famiglia di Donald Trump e di Joe Biden, ma persino nella dinastia dei Bush e tra alcuni Repubblicani del Congresso (accanto ad altri che fanno invece di tutto per spegnere il tum-tum assordante della "tecno" comunista cinese). Poi fra governanti e parlamentari australiani, britannici, francesi e cechi, nel Parlamento europeo e in Italia, dove spicca il caso dell'allora ministro Luigi Di Maio e dell'allora Sottosegretario Michele Geraci. Passano i mesi, Xi Jinping cresce in potenza, e le 560 pagine di Hamilton e della Ohlberg maturano. Dovrebbero diventare materia obbligatoria di studio per politici, diplomatici, imprenditori e giornalisti. Giusto per capire cosa sia davvero la «Nuova Via della Seta» con cui Pechino sta rifacendo la globalizzazione in versione sinizzata. Cioè comunistizzata. Senza nulla di cringe.

 

 

 

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