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Putin, Teodori: "Bomba atomica?", una pesantissima verità sugli Usa

Maurizio Stefanini
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Cosa intendono fare e cosa possono fare gli Stati Uniti con Putin? Ne parliamo con Massimo Teodori, che oltre a essere stato un leader storico del Partito Radicale è uno dei maggiori esperti italiani di storia degli Stati Uniti. Già ordinario di Storia e istituzioni degli Stati Uniti presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università degli Studi di Perugia, docente di Politica italiana contemporanea alla Luiss e alla Johns Hopkins University di Bologna, ha tenuto corsi e seminari presso la University of California, la Columbia University e l'Università di Harvard.

Come stanno leggendo gli Stati Uniti le ultime mosse di Putin?
«Di fronte all'arroganza e al rilancio di tipo bellico da parte di Putin l'opinione pubblica americana, sia le autorità che i media, ritengono che gli Stati Uniti devono mantenere il loro ruolo di leadership del mondo occidentale. E per mantenere questo ruolo di leadership del mondo occidentale devono restare alla testa delle nazioni atlantiche».

Ma pensano che Putin abbia ancora qualche carta da giocare?
«L'amministrazione Usa e la stampa sono d'accordo: il rilancio, con la mobilitazione e la stretta anche interna rispetto alla dissidenza, sono da parte di Putin un chiaro segno di debolezza. Quindi occorre la mano forte, da parte degli Stati Uniti in particolare e da parte della coalizione occidentale più in generale, per indebolire la Russia».

Ci sono sfumature tra repubblicani e democratici, tenendo conto del fatto che adesso ci sono elezioni?
«Le sfumature, probabilmente, tra singoli personaggi ci sono. Però in temi di dibattito pubblico non c'è una differenza sostanziale tra quello che è stato esposto da Biden ultimamente come posizione ufficiale alle Nazioni Unite e l'atteggiamento di singoli gruppi o personaggi di partito. Anche perché in questo momento Trump è in forte ritirata, per i guai che passa rispetto alle azioni illegali che sono sotto il fuoco della giustizia e della Fbi».

 

 



Quindi le elezioni di Mid Term non dovrebbero influire nella linea del governo Usa?
«I democratici, dietro a Biden, cercano di risalire quella che fino a qualche mese fa era una differenza di consenso notevole a favore dei repubblicani. E oggi non è più previsto il grande successo del GOP che si aspettava qualche mese fa. Su ciò ha influito la sentenza della Corte Suprema sull'aborto, visto che da quel momento sono aumentate in maniera notevole le registrazioni al voto da parte delle donne».

 

Ma questo conflitto è considerato dagli Usa anche una opportunità, nel senso che indebolisce e impegna a fondo Mosca? O ne avrebbero fatto volentieri a meno?
«Nella storia degli Stati Uniti c'è un esempio che fa testo, ed è quando la mano forte si Reagan contribuì alla fine dell'Urss. L'opinione pubblica vuole un Paese che sia forte, e che sia in grado di rispondere con la forza alle sfide di carattere internazionale. Sia naturalmente con la Russia, sia anche soprattutto con l'avversario più importante, e cioè la Cina».

Ma a questo punto cosa è che si può ottenere dalla Russia? Un regime change? Una sconfitta militare?
«Questo non lo so io come non lo sa nessuno. Ma tutti gli osservatori internazionali ritengono oggi la posizione di Putin molto più debole di quanto non lo fosse nel momento in cui ha iniziato la guerra».

È sostenibile per gli Usa il costo dell'appoggio a Zelensky?
«Per gli Stati Uniti è sostenibile, naturalmente, molto più di quanto non lo sia per tutti gli altri. Ma bisogna tener presente che l'aiuto all'Ucraina degli Stati Uniti va assieme a quello di tutti i Paesi d'Europa e della Gran Bretagna e adesso è stato infine ricercato il sostegno su questo fronte antirusso anche di Paesi extra-europei come il Giappone o l'Australia».

 

 

 

Prima i russi si stavano infilando in ogni "buco geopolitico" che gli Usa lasciavano: Siria, Libia, Georgia, Crimea. Adesso invece in Armenia succede il contrario...
«Sì, sta succedendo in tutta la frangia asiatica della ex-Urss. Non condividono questo sforzo di Mosca in termini di uomini e risorse per fare una guerra che non interessa a nessuno».

Macron, Scholz e Erdogan. A chi gli Usa danno i voti migliori?.
«Per ora Macron e Scholz devono subire e accettare il fatto che l'unico leader in grado di fare un minimo di negoziati, alcuni con successo come quello della vendita del grano e dello scambio dei prigionieri, è il turco. Personaggio che certamente non è nelle grazie di quella parte della Nato più vicina agli Stati Uniti (Parigi, Berlino) col suo ambiguo gioco tra Nato e Russia».

Gli americani sono delusi da Macron e Scholz?
«L'intera vicenda di quest' anno mostra che, inaspettatamente, c'è stato un ricompattamento dell'Europa. Questo ricompattamento coincide con l'interesse degli Stati Uniti a trovarsi su un unico fronte ad affrontare la Russia, insieme con i popoli europei e con gli Stati europei».

La minaccia dell'uso dell'atomica: gli Stati Uniti la considerano sul serio?
«I fatti sono che gli Stati Uniti non hanno risposto alla minaccia atomica pronunciando una qualsiasi controminaccia di carattere atomico. Non c'è una sola dichiarazione da parte del presidente o comunque di organi istituzionali qualificati che vi faccia riferimento. Quello che poi accadrà in futuro nessuno lo può dire. Però è certo che, per ora, la minaccia nucleare russa non viene presa sul serio». 

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