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Venezuela, il pizzo per la pratica al consolato: scoppia lo scandalo

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Fabio Rubini
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Un altro Paese che sembra coinvolto nei business di cui vi abbiamo raccontato in questi giorni è il Venezuela. Qui però il filone è diverso, non riguarda i visti, e si divide in due. La prima parte riguarda la vendita degli appuntamenti al Consolato. Un malcostume piuttosto diffuso, tanto che lo scorso 4 maggio viene citato nella relazione che il Console generale a Caracas, Nicola Occhipinti, invia al Ministero degli Affari Esteri, col titolo: «Bilancio dei tre anni di servizio, prospettive e riflessioni». Nel documento Occhipinti spiega di aver «definitivamente stroncato l’annoso fenomeno della vendita degli appuntamenti». Di cosa si tratta? Semplice, in pratica ci sarebbero stati - usiamo il passato dando per buone le parole del console sul fatto di aver debellato questo malaffare - degli hacker che si introducevano nel sito del Consolato per bloccare degli appuntamenti e poi “venderli” agli italiani all’estero, costretti a pagare un pizzo per un’attività che ovviamente è gratuita.

 

 

 

DOVE SONO I SOLDI

La seconda parte riguarda invece l’Ospedale Italiano del Venezuela. La struttura che era stata creata l’1 febbraio del 2020 allo scopo di aiutare gratuitamente nella gestione delle cure mediche, le circa 150mila persone che formano la comunità italiana in Venezuela. Una vicenda, per la verità, di cui si era occupato per primo il Fatto Quotidiano, con un articolo dell’11 aprile scorso, nel quale si raccontava di come il Comitato promotore fosse finito nelle mani di Ugo Di Martino, che secondo un’informativa della Dda di Reggio Calabria, sarebbe un sodale di Aldo Micciché, referente della cosca guidata da Giuseppe Piromalli, che è stato arrestato - e poi estradato in Italia - proprio nel Paese Sudamericano.

Anche su questa vicenda e sulla successiva denuncia da parte del Console generale a Caracas, c’è lo zampino di Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d’Italia eletto nella circoscrizione America settentrionale e centrale. Il quale avendo ricevuto la “dritta” da un connazionale residente in Venezuela, si sarebbe rivolto al Consolato per avere informazioni. Da qui sarebbe nata una fitta rete di conversazioni tra Di Giuseppe, il console generale Occhipinti e l’ambasciatore Placido Vigo. Interlocuzioni che si sono risolte in una denuncia presentata da Nicola Occhipinti alla Procura della Repubblica di Roma, a quella di Siracusa e per conoscenza inviata al Ministero degli Affari Esteri. Nel frattempo Vigo ha rescisso ogni tipo di legame con quell’organizzazione che, secondo le accuse, avrebbe di fatto svuotato la parte pubblica dell’ospedale e portato avanti solo quella a pagamento. Insomma avrebbero fatto business con i soldi che sarebbero dovuti servire per aiutare gli indigenti.

LA TELEFONATA

Ma cosa c’entra questa vicenda con quella del traffico dei visti dall’Asia? Il fatto è che in una delle deposizioni rilasciate, Di Giuseppe racconta che durante la seconda cena con i corruttori, riceve una telefonata nella quale l’interlocutore gli ricorda che «so che abbiamo un amico in comune in Venezuela» e gli fa il nome di un contatto che avrebbe dovuto essere il suo referente per l’affare dei visti e che «avrebbe dovuto essere protetto e non esposto». «A quel punto - racconta Di Giuseppe a Libero - ho capito che si trattava di un avvertimento diretto e ho preferito far finta di non capire...». Non a caso qualche giorno dopo è arrivata l’esplicita minaccia al parlamentare mentre correva sul lungo Tevere. Questo secondo Di Giuseppe è l’ennesimo elemento che porta alla «chiara dimostrazione di come dietro questo traffico ci sia anche la malavita italiana». Anche in questo caso va segnalato il comportamento di Andrea Di Giuseppe, uno che il suo compito di rappresentare gli italiani all’estero, l’ha preso decisamente sul serio. Cancellando con un tratto di pennarello una certa idea piuttosto caricaturale del parlamentare eletto dagli italiani all’estero...

 

 

 

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