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Fabbri, la profezia sull'Ucraina: "Zelensky sta già abituando i suoi"

Mirko Molteni
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Per vie sotterranee la guerra in Ucraina è collegata agli equilibri in Asia e alle convulsioni dell'Africa, scossa da un golpe in Gabon poche settimane dopo il colpo di stato in Niger, dietro cui si intuisce l'influenza russa. Ciò a riprova della dottrina del “linkage” del diplomatico USA Henry Kissinger, secondo cui tutti gli scacchieri sono connessi fra loro. Abbiamo intervistato l'analista geopolitico Dario Fabbri, direttore della Rivista “Domino”.

Dopo il golpe in Niger, dietro il quale si teme l'influsso dei mercenari russi Wagner, ora orfani di Prigozhin, eccone un altro in Gabon. Cosa sta succedendo in Africa?
«In Niger il quadro è chiaro, mentre in Gabon, dopo solo 48 ore, la situazione è ancora confusa. Tuttavia è palese che la Russia, per il tramite della compagnia di mercenari Wagner, abbia avuto un ruolo, diretto o indiretto, nei vari colpi di stato in Africa Occidentale, a partire da quello in Mali del 2021. In Niger la Wagner può aver avuto un ruolo da remoto. Forse anche in Gabon, ma è presto per dirlo. Comunque anche il golpe in Gabon è maturato in un clima culturale che vede gran parte degli africani su posizioni anti-occidentali. Dall'Europa spesso giudichiamo i golpe africani come azioni contro i civili locali, ma ogni colpo di stato ha bisogno del sostegno almeno di una parte della popolazione. E lì molta gente è insofferente alla Francia vetero-coloniale, agli Stati Uniti e agli aiuti veicolati dall'Unione Europea con tono paternalistico».

È corretto dire che, più la guerra in Ucraina si prolunga, più la tensione internazionale farà sì che l'Africa scivoli via dall'influenza occidentale?
«Sì e teniamo conto che molti attori si fanno avanti. Sappiamo della Russia, con la Wagner, in Africa Occidentale. Poi c'è la Cina, che agisce da sé e anche dietro la Russia per sfruttare giacimenti. Ma fa il suo gioco anche la Turchia, in Tripolitania, Somalia e Gibuti. Mosca e Pechino hanno presa sugli africani con le loro propagande, che però sono diverse. La Russia rimarca di non aver mai avuto colonie in Africa e di aver appoggiato l'indipendenza di quei paesi ai tempi dell'Unione Sovietica. La Cina, invece, convince gli africani facendosi passare ancora per un paese del Terzo Mondo. Una bufala, ormai, dato che la Cina è fra i paesi più industrializzati e colonialista essa stessa. Mala realtà è che l'Occidente sta perdendo l'Africa».

Il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha fatto aperture diplomatiche in riferimento alla Crimea, sebbene poi il suo consigliere Mikhailo Podolyak abbia affermato che “si può trattare, ma non finchè c'è Vladimir Putin al Cremlino”. È una svolta?
«Sì , è una svolta, dato che finora l'Ucraina ha respinto l'idea di negoziati finchè i russi occupano parti del paese. L'apertura di Zelensky è motivata da due ragioni. Anzitutto, è cio che vogliono gli Stati Uniti. E poi è una sorta di prova, per vedere che effetto fa. È un modo per preparare l'opinione pubblica ucraina alla possibilità di negoziati. L'Ucraina non riuscirà a recuperare tutti i territori occupati dai russi con la forza. La controffensiva langue, salvo limitati guadagni territoriali che però non sfondano il grosso delle linee difensive russe. Inoltre ci avviciniamo all'autunno. L'opinione pubblica di Kiev va abituata all'idea di sedersi al tavolo con i russi. E sebbene poi le affermazioni di Zelensky siano state in qualche modo rettificate, hanno un significato preciso».

Come si possono immaginare simili negoziati?
«Si può pensare che a un certo punto siano gli Stati Uniti a spingere l'Ucraina a trattare, facendo a Kiev un discorso di questo tipo: “Nonostante tutti i nostri aiuti militari è chiaro che non riuscite a guadagnare sufficiente terreno, non ce la fate”. Gli americani vogliono i negoziati, come li vogliono i russi, mentre gli ucraini li temono».

In settembre ci sarà un nuovo vertice fra Putin e il presidente turco Recep Erdogan. È possibile che, oltre a parlare del ripristino degli accordi sul grano, Mosca voglia rilanciare una mediazione turca? Magari pensando a una riedizione dei negoziati in Turchia del marzo 2022, abortiti quando parevano sulla buona strada?
«È certo che, fra tutti i paesi che hanno tentato mediazioni, la Turchia è l'unica ad aver avuto successo, con l'accordo sul grano durato per un anno. Ankara è in eccellenti rapporti sia con Mosca sia con Kiev, a cui ha fornito i droni Bayraktar. Di sicuro, la Turchia appoggia l'Ucraina perché non vuole che tutta la costa Nord del Mar Nero sia controllata dalla Russia. Ma Putin ed Erdogan si conoscono bene, non vogliono scontrarsi e hanno trovato un modus vivendi in Siria e Libia».

In ottobre, Putin andrà in Cina dal presidente Xi Jinping. Conferma del fatto che la Russia è appoggiata, fra Cina e altri paesi BRICS, da quasi mezzo mondo...
«Il gruppo BRICS ha importanza più simbolica che reale, nel senso che sono paesi molto diversi, spesso divisi da rivalità. Pensiamo alla contesa strategica fra Cina e India. O allo stesso rapporto fra Russia e Cina in Asia Centrale e sui confini tra Mongolia e Siberia, talché la loro è solo un'amicizia di interessi. Però dimostra che Mosca non è isolata. E il fatto che vogliano aderire ai BRICS paesi come Egitto, Etiopia o Arabia Saudita, molto vicini agli USA, è importante. Se vogliono avvicinarsi a Mosca mentre la guerra è in corso, senza aspettare la fine del conflitto, è un messaggio a Washington, a cui non temono di dire di no».

Durerà ancora molto il conflitto?
«Difficile dirlo. Gli Stati Uniti probabilmente premeranno per colloqui in autunno, poiché ormai hanno raggiunto il loro scopo di logorare la Russia e consumarne le risorse militari. Ora hanno altre priorità. Le loro elezioni presidenziali nel novembre 2024. Ma anche quelle di Taiwan, in gennaio, che segneranno nuove tensioni con la Cina. In Ucraina l'ipotesi più realistica è un cessate il fuoco, ma con un conflitto congelato che serpeggia in modo carsico, col rischio di riemergere in futuro».

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