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Taiwan, messaggini sui cellulari: "La Cina ha lanciato un missile". Ma era un satellite

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Hanno tradotto male la parola "satellite" con il termine "missile" e la conseguenza è stato il panico generale. Racconta il Corriere che mentre il ministro degli Esteri di Taipei Joseph Wu teneva una conferenza davanti alla stampa estera tutti i telefonini hanno ricevuto un "air raid alert" per un missile sullo spazio aereo taiwanese. Wu ha controllato e ha informato chi lo stava ascoltando che "la Cina ha appena lanciato un satellite e il razzo che lo ha messo in orbita ha sorvolato il Sud della nostra isola". "Lo fanno spesso", ha puntualizzato i ministro, "ma certo la scelta di tempo di lanciare il satellite proprio alla vigilia del voto lascia pensare alla loro strategia di minacce e interferenza". 

 

 

La tv di Pechino ha confermato la messa in orbita del satellite astronomico Einstein, che non era stata preannunciata. La Difesa taiwanese alla fine si è scusata per aver scritto missile invece di satellite nella versione inglese dell’allerta. Un caso di "negligenza" nella comunicazione, lo ha definito il ministero, ma anche una conferma del clima che si respira nello Stretto di Formosa dopo le dichiarazioni del presidente cinese Xi Jinping che nel discorso di fine anno ha definito la "riunificazione" con Taiwan una "inevitabilità storica". 

 

 

Pechino infatti ormai invia di routine navi e aerei a circondare l’isola, ha cominciato a spedire anche palloni aerostatici e "bombarda" Taiwan di false informazioni mirate sull’opinione pubblica per convincerla che in caso di guerra Taipei sarebbe sola e che l’unica soluzione e piegarsi alla riunificazione. Quella dell'allert "sbagliato" è stato un piccolo colpo di teatro mentre il capo della diplomazia di Taipei elencava una serie di azioni di Pechino per influenzare le elezioni presidenziali di sabato 13 gennaio per le quali sono in corsa tre candidati. 

 

Il favorito, si legge su Internazionale, è il vicepresidente William Lai, candidato del Partito progressista democratico, che incarna un’identità diversa da quella della Cina continentale. Lai non sostiene l’indipendenza (sa bene che farlo significherebbe scatenare una guerra) ma solo il mantenimento dello status quo: ognuno per conto suo. Hou Yu-ih è il candidato del Kuomintang, storico partito dell’ex dittatore. Hou vorrebbe migliorare le relazioni con Pechino per evitare una guerra, ma non riesce a liberarsi dell’immagine del passato. Il terzo incomodo, Ko Wen-je, rappresenta un’alternativa ai primi due. Di certo c'è che nell’arco di una generazione gli abitanti di Taiwan che si considerano cinesi sono passati da un terzo della popolazione ad appena il 5 per cento e ora non vogliono perdere né la loro identità né la loro democrazia.

 

 

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