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La Polonia si ribella al regime di Tusk: che cosa sta succedendo

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Mirko Molteni
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 Lo scontro istituzionale in Polonia va facendosi più pesante e se a Varsavia si allargherà la crepa, potrebbero esserci conseguenze a cascata sugli equilibri europei. Verrebbe infatti sancita l'instabilità di uno dei maggiori membri della NATO nella fascia dei confini con Russia e Bielorussia, per giunta nel pieno di una guerra ancora in atto nella vicina Ucraina.
Ieri sera migliaia di polacchi protestavano davanti alla sede del Parlamento di Varsavia accusando il nuovo esecutivo di voler prendere il controllo totale del paese e dei mass media di stato.

Dalla loro parte, alzava la voce il presidente della Repubblica polacca, Andrzej Duda, infuriato perché 48 ore prima il nuovo esecutivo ha fatto arrestare due componenti del governo precedente mentre si trovavano nella sua residenza personale. È con tanta acredine che s'è consumato il passaggio di poteri seguito alle elezioni dell'autunno 2023, che hanno visto affermarsi una coalizione di partiti pro-Unione Europea guidata da Donald Tusk, già premier fra 2007 e 2014, poi presidente del Consiglio Europeo dal 2014 al 2019, a spese dell'uscente governo di centrodestra del partito PiS (Libertà e Giustizia) del premier Mateusz Morawiecki e al quale appartiene anche il presidente Duda. Riaprendo un caso giudiziario di diversi anni fa, il neo-insediato Tusk ha in pratica fatto arrestare l'ex-ministro degli Interni Mariusz Kaminski, in carica dal 2019 al 2023, e il suo sottosegretario Maciej Wasik, i quali stanno entrambi esercitando lo sciopero della fame. L'arresto è stato reso possibile dalla Corte Suprema, che ha annullato una grazia concessa dal capo dello Stato. Ed era riferito a un'accusa di “abuso d'ufficio” nei loro confronti, quando Kaminski e Wasik erano direttore e vicedirettore dell'Uffico anticorruzione.

Ma Duda non ci sta e ieri ha, in un certo senso, dichiarato guerra al gabinetto Tusk, affermando che non cederà e userà tutti i poteri concessigli dalla Costituzione per fare resistenza: “Ho deciso di avviare una procedura per la grazia. Ho detto che avrei fatto tutto il possibile, che avrei fatto ogni sforzo per restituir loro la libertà il più presto possibile affinché nella libera Repubblica di Polonia siano persone libere e non prigionieri politici perché è un insulto alla loro dignità e offende anche la nostra posizione internazionale il fatto che dopo il 1989 in Polonia esistano ancora prigionieri politici”. E inoltre: “Non mi farò intimidire, agirò legalmente nel rispetto della Costituzione e della legge”. Dal palazzo del governo, Tusk ribatte che “l'opposizione vuole solo il caos”. Ma i provvedimenti draconiani degli ultimi giorni, con nuove nomine in tv e radio di stato, hanno spaventato moltissimi cittadini, sostenitori, o meno del partito PiS. Perciò ieri, se molti hanno assediato con picchetti la sede della tivù pubblica TVP, migliaia di altri, davanti al Parlamento, hanno spiegato bandiere nazionali e striscioni gridando al “golpe”. Sulla rete, poi, si sono moltiplicati i commenti di altri cittadini, da “la Polonia ai polacchi” a “Polonia indipendente e liberi media, non arrendetevi”. Ha commentato Maciej Nowicki, capo del consiglio di amministrazione della Fondazione Helsinki per i diritti umani: «Negli ultimi anni, i media pubblici sono diventati portavoce della maggioranza di governo su scala senza precedenti e ciò richiedeva un cambiamento. È dubbio, tuttavia, il modo legale in cui sono stati introdotti i cambiamenti: nell'ordinamento costituzionale polacco non è un ministro, non è un politico a essere incaricato di nominare i direttori dei media pubblici». 

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