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Federico Rampini su Biden-Trump: "Scegliere tra un deficiente e un delinquente"

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Il declino mentale del presidente degli Stati Uniti è un'emergenza mondiale. Ne è convinto Federico Rampini che su X rilancia il suo articolo per il Corriere della Sera nel quale commenta la conclusione dell’indagine sulla indebita appropriazione da parte di Joe Biden di documenti top secret, ritrovati nel garage di casa sua. L’inquirente Robert Hur nominato dal Dipartimento di Giustizia, cioè dalla stessa amministrazione Biden, ha escluso la colpevolezza del presidente ma lo descrive come un vecchio che non riesce più a ricordare neppure in quali anni era vicepresidente, o la data della morte del suo figlio prediletto, Beau. 

Rampini solleva due domande cruciali. La prima riguarda la mancanza di meccanismi costituzionali per costringere il presidente a dimettersi in caso di dubbi sulla sua salute mentale. Certo, c'è la possibilità di applicare il 25esimo emendamento della Costituzione, che stabilisce procedure per affrontare l'incapacità presidenziale, ma l'editorialista del Corsera rileva le difficoltà e le ambiguità legate a questa opzione nonostante "la barra della lucidità e dell’efficienza mentale per il presidente degli Stati Uniti deve essere spostata molto più in alto che per noi persone normali". "Lui ha la valigetta nucleare, lui è il comandante supremo delle forze armate più potenti del mondo. Certo è circondato e consigliato da uno staff esperto, certo ci sono procedure costellate di controlli di sicurezza e garanzie prima che il presidente possa scatenare un attacco nucleare, però l’ultima parola spetta a lui". Per Rampini dunque "o Biden si lascia convincere (da chi?) a farsi da parte, oppure esautorarlo è quasi simile a organizzare un 'colpo di Stato democratico', con la vicepresidente Kamala Harris a raccogliere firme tra i suoi ministri dietro le spalle di Biden. Una sorta di impeachment dall’interno".

 

 

Ecco allora la seconda domanda cruciale sul Partito Democratico e sul suo stato di salute attuale: Rampini mette in risalto la mancanza di un vero establishment di partito, la mancanza di un chiaro successore e la paura di ammettere gli errori commessi nel permettere a Biden di continuare nel suo ruolo. "Questo", conclude Rampini, "ci lascia nella situazione assurda per cui, al momento, i cittadini della più antica liberaldemocrazia mondiale per la massima carica della Repubblica hanno la scelta fra un deficiente e un delinquente: due aggettivi offensivi che non riflettono necessariamente il mio pensiero, ma descrivono come le due Americhe percepiscono la candidatura dell’avversario".

 

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