Cerca
Logo
Cerca
+

Meloni vola da Zelensky con un accordo per l'Ucraina e il biglietto per la nuova Ue

Fausto Carioti
  • a
  • a
  • a

Il primo vertice del G7 presieduto da Giorgia Meloni inizierà domani poco dopo l’ora di pranzo, si svolgerà in videoconferenza, avrà come unico argomento ufficiale gli aiuti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia e come ospite, nella prima parte, Volodymyr Zelensky. La presidente del consiglio vuole partire da Roma al mattino ed atterrare a Kiev in tempo per collegarsi con gli altri leader insieme al presidente ucraino. Conferme del viaggio non ce ne sono, ma alla domanda diretta che le ha fatto ieri Bruno Vespa, la premier ha risposto con un eloquente «si vedrà...». Di certo, il suo desiderio è quello. Vuole dimostrare che in Occidente non ci sono «segnali di stanchezza» ed essere nella capitale ucraina il 24 febbraio, secondo anniversario dell’inizio dall’invasione russa, avrebbe un forte valore simbolico, al quale aggiungerà la firma di un accordo bilaterale di sicurezza assieme a Zelensky. Servirà, ha spiegato Antonio Tajani, ad «assicurare all’aggredito i mezzi per difendersi».

C’entrano gli ideali, che fanno sentire Meloni naturalmente vicina al «popolo sovrano» ucraino. Ma c’entrano pure gli interessi nazionali: quando il capo del governo ripete che senza la resistenza degli ucraini oggi avremmo «una guerra molto più vicina a casa nostra e un mondo nel quale chi è militarmente più forte può liberamente invadere il suo vicino», dimostra di avere una visione molto realista. E accanto all’interesse nazionale un peso lo ha, come è inevitabile, la convenienza politica di Fdi e della sua leader.

 

 

 

LA NUOVA PARTITA

Due anni fa, la nettezza della posizione filo-atlantica rese Meloni inattaccabile dalle accuse di chi, a sinistra, avrebbe voluto dipingerla come un’esponente della destra europea compiacente verso Vladimir Putin, ossia sostanzialmente anti-occidentale e inaffidabile. Oggi, la postura al fianco dell’Ucraina le permette di rispondere a chi vuole tenere lei e Fdi fuori dalla maggioranza che nascerà nella Ue dopo le elezioni di giugno.

Il vecchio disegno di stendere un cordone sanitario attorno all’Italia guidata dal governo di destra-centro, infatti, non è morto: si è solo adattato ai tempi. Fallito il tentativo di isolare Roma, adesso l’obiettivo è tenere Meloni e i suoi alleati europei del partito conservatore Ecr, da lei presieduto, fuori dalla stanza dei bottoni, nonostante l’ottimo risultato elettorale previsto da tutti i sondaggi. La polemica che la sinistra monta ogni giorno contro il “fallaciano” francese Éric Zemmour, il cui movimento, Reconquête, è appena entrato nei conservatori europei, e contro il leader ungherese Viktor Orbán e il suo partito Fidesz, che potrebbero fare la stessa cosa dopo il voto, è diretta proprio ad emarginare lo schieramento europeo guidato da Meloni.

Sapendo che questo è il nervo scoperto, i giornalisti hanno chiesto ad Ursula von der Leyen, che il Ppe ricandida alla guida della Commissione, se sia disposta ad allearsi con l’Ecr. Lei ha risposto che ci sarà una linea di demarcazione: «Siete a favore della democrazia? Difendete i nostri valori? Siete fermi nella difesa dello stato di diritto? Sostenete l’Ucraina? State combattendo contro il tentativo di Putin di indebolire e dividere l’Europa?». È lo stesso confine che traccerebbe qualunque altro candidato espresso dal Ppe, ossia dallo schieramento al quale, con ogni probabilità, apparterrà il prossimo presidente della commissione.

 

 

 

SE L’EUROPA SI RIARMA

A tutte quelle domande, Meloni ha già risposto. E sull’atteggiamento verso l’Ucraina e la Russia, che rappresenta la vera linea rossa, ha dimostrato di avere le carte più in regola di chiunque. Anche perché tutti sono buoni a fare proclami di sostegno, ma poi ci vuole il resto. La maggioranza che manderà avanti l’Unione nei prossimi anni dovrà avere la volontà politica di contrapporsi all’espansionismo del Cremlino, e di adeguarsi al nuovo scenario mondiale, anche aumentando la spesa militare, dotandosi di un commissario Ue alla Difesa ed iniziando a ragionare su un futuro esercito comune. Cose di cui già oggi si discute e che, a maggior ragione, dovranno essere fatte se dall’altra parte dell’oceano, a novembre, la corsa per la Casa Bianca sarà vinta da Donald Trump, determinato a non usare più le tasse dei contribuenti americani per pagare la protezione militare agli alleati della Nato. Meloni non ha mai creduto all’idealismo pacifista e per lei non è un problema stare in un’Unione che vuole spendere di più per la difesa e lavora per avere un esercito che sia la «colonna europea della Nato»: sono cose già scritte nel programma con cui ha vinto le elezioni politiche del 2022. Imbarazzi e problemi, nella Ue che si riarma, li avranno semmai i suoi avversari.

 

 

 

Dai blog