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Telegraph, scontro con l'Islam: battaglia politico-editoriale, un caso a Londra

Dario Mazzocchi
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Gli sceicchi vogliono il Telegraph, pilastro della libertà di stampa britannica. Da quasi centosettant’anni è un punto di riferimento nel panorama mediatico britannico. Nel 1939 ha raccolto in esclusiva la testimonianza di Clare Hollingworth che, durante un viaggio dalla Polonia verso la Germania, assistette in prima persona alla marcia delle truppe naziste attraverso il confine, dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Fu definito lo scoop del secolo.

Negli Anni ’90 aveva invece come corrispondente da Bruxelles un certo Boris Johnson che durante quella esperienza cominciò a maturare le idee anti-europeiste che l’hanno portato ad essere il Primo ministro della Brexit.

INCHIESTE E SCANDALI
È il Daily Telegraph, quotidiano di riferimento per l’area conservatrice britannica, al punto da essere bollato come The Torygraph dagli ambienti progressisti e laburisti. Ha portato avanti inchieste e sollevato scandali, tra cui il terremoto che nel 2009 ha colpito l’House of Commons con l’approfondita indagine sulle spese ingiustificate dei parlamentari di Westminster o la polemica sollevata lo scorso anno, pubblicando le chat di Matt Hancock, ministro della Salute durante l’emergenza Covid-19, in cui risaltavano l’assenza di un vero piano di intervento e gli scontri con l’entourage di Downing Street.

In queste settimane è al centro di una delicata partita finanziaria dopo che il gruppo di investimenti RedBirdIMI ha presentato un’offerta di acquisto del Telegraph Media Group di 600 milioni di sterline. Il fondo, in cui compare anche Gerry Cardinale, patron del Milan, è guidato dallo sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan, vicepresidente degli Emirati arabi uniti e proprietario del Manchester City.

Finché si tratta di una squadra di calcio, va bene tutto, ma l’ipotesi che il quotidiano possa finire nelle mani di una cordata degli Emirati ha creato malumori, tensioni e appelli per tutelare un asset della democrazia britannica. L’operazione coinvolge un'altra testata del gruppo, il settimanale The Spectator: altra colonna storica d’Oltremanica le cui pubblicazioni risalgono al 1828. E altra bussola di riferimento per i conservatori britannici e non solo. Boris Johnson ancora lui - ne è stato direttore tra il 1999 e il 2005, mentre negli Anni ’80 a capo della redazione c’era Charles Moore, autore della biografia autorizzata di Margaret Thatcher.

Il Daily Telegraph ha una diffusione di circa 320.000 copie giornaliere, ma nel 2023 il gruppo editoriale ha superato il milione di abbonamenti considerando anche le edizioni digitali. D’altra parte a dicembre la famiglia Barclay, attuali editori, sono riusciti a ripagare un debito di 1,2 miliardi di sterline alla Lloyds Bank proprio grazie all’aiuto di RedBirdIMI, che adesso punta a prendersi l’intera fetta.

Quanto allo Spectator, le copie vendute settimanalmente superano le centomila unità, tra versione cartacea e digitale. Sono questi i contorni all’interno dei quali si disputa il match, cominciato lo scorso novembre. Da una parte lo sceicco, dall’altra le due testate che temono di rientrare nel portafogli di un editore ingombrante.

L’idea che il fondo sovrano di uno Stato non democratico possa interferire con la linea editoriale e la gestione del Telegraph e dello Spectator agita tanto i giornalisti quanto alcuni corridoi di Westminster. La baronessa Tina Stowell, componente della House of Lords, ha proposto un emendamento alla Digital Markets Bill, norma che regola il mercato digitale, con cui impedire che un fondo sovrano possa acquistare una testata nazionale senza l’approvazione del parlamento.

LEGAMI AMBIGUI
Con la libertà di stampa non si scherza, ma c’è chi tentenna. A finire al centro del mirino è proprio il primo ministro Rishi Sunak, volto di un Partito conservatore che si appresta a combattere una drammatica campagna elettorale, considerando l’ingombrante svantaggio verso l’opposizione laburista. «Perché Sunak è così timido nel difendere la libertà di stampa?», si chiedeva ieri Moore in uno dei suoi interventi settimanali dalle colonne del Telegraph. «Forse è preoccupato di non disturbare la famiglia regnante di Abu Dhabi, da lungo tempo alleata della Gran Bretagna, anche se recentemente in modo ambiguo», ha azzardato riferendosi agli stretti legami tra gli sceicchi e il presidente russo Vladimir Putin.

L’emendamento della baronessa Stowell, approdando ai Comuni, otterrebbe secondo gli osservatori il sostegno di deputati laburisti e metterebbe in ulteriore imbarazzo Sunak, accerchiato dalle correnti più a destra dei Tories, già borbottanti per la linea governativa giudicata troppo titubante e dubbiosa su temi caldi della politica interna e quella economica. Di materiale per riempire le pagine della cronaca politica c’è ne parecchio.

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