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Usa, se gli Huthi sono forti è tutta colpa di Biden

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Mirko Molteni
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L’escalation delle azioni del movimento Ansar Allah, cioè i ribelli yemeniti Huthi filoiraniani, ha posto interrogativi su come sia stato possibile che una compagine isolata in un angolo remoto della penisola arabica possa essere emersa come potenza relativamente importante a presidio dello stretto di Bab El Mandeb, la “strettoia” che fa sfociare il Mar Rosso nell’Oceano Indiano. Solo ieri, gli Huthi hanno sparato missili sulla petroliera “israeliana”, ma di bandiera panamense, Pacific 01, danneggiandola, ma lasciando incolume l’equipaggio. Inoltre hanno rivendicato «attacchi nell’Oceano Indiano a tre navi americane e israeliane», minacciando di poter minare la rotta alternativa a Suez, passante dal Sudafrica.

Infine hanno dichiarato che l’equipaggio della nave Galaxy Leader, da essi catturata in novembre, verrà consegnato ad Hamas. Nelle stesse ore il comando americano Centcom ha affermato che gli aerei Usa hanno distrutto «in territorio yemenita 9 missili e 2 droni che rappresentavano una minaccia imminente per le navi nella regione». Ennesimi raid anglo-americani che, insieme alle intercettazioni di ordigni in volo, hanno solo intaccato l’arsenale Huthi, rimpolpato da forniture iraniane di contrabbando.

 

 

Da quando nel 2014 è scoppiata la guerra civile yemenita, gli Huthi hanno conquistato la capitale Sanaa arroccandosi nelle aree occidentali del paese e, grazie al sostegno tecnico dei pasdaran iraniani, sono cresciuti in potenza approfittando del disinteresse degli Stati Uniti per il Medio Oriente. Attualmente la loro forza è valutata in 200mila uomini armati.
Numericamente, il doppio dell'Esercito Italiano e poco più dei 180mila militari complessivi delle tre forze armate classiche, escludendo Carabinieri e Guardia di Finanza. Hanno esperienza, essendo in guerra in sostanza da dieci anni, con largo impiego di sistemi moderni come droni e missili.

L’Iran li aiuta fornendo parti di armamenti che poi vengono assemblati in loco, ma anche sul fronte dell’intelligence, dato che, negli ultimi anni si sono alternate nelle acque yemenite due navi-spia di Teheran, la Saviz e la Beshadh. Per ricordare solo un paio di assi nella manica degli Huthi, il drone Samad 3, di presunta origine yemenita, non è altro che l’iraniano KAS-04 montato localmente, un ordigno lungo 2,8 metri e con apertura alare di 4,5 metri, poco veloce, sui 250 km/orari, ma in grado di portare fino a 40 chilogrammi di bombe a una distanza massima di 1700 km.

 

 

ARMI SUPERSONICHE
Fra i missili balistici c'è il Qadr 110 (o Ghadr 110), bistadio a combustibile liquido, che è in sostanza una versione locale dello Shahab 3 iraniano con gittata di quasi 2mila km e usato per attacchi su Israele, sventati dai missili antimissile Arrow, ma pur sempre temibili. Non è dato sapere quante centinaia di questi e altri sistemi gli Huthi conservino negli arsenali scavati nelle vallate yemenite, ma sarebbe temibile, se vera, l’indiscrezione di due giorni fa dell’agenzia russa Ria Novosti, secondo cui i ribelli yemeniti hanno testato un missile ipersonico, cioè la cui velocità supera quella del suono di almeno 5 volte (Mach 5). Un simile ordigno sarebbe difficilmente intercettabile dalle difese occidentali. Non è dichiarato il tipo, ma si sa che l’Iran ha presentato nel 2023 il missile ipersonico Fattah-1, a combustibile solido, accreditato addirittura di una velocità massima di Mach 13, circa 15mila km/orari.

COME È STATO POSSIBILE?
Forse è solo propaganda, ma la cautela è d’obbligo. Com’è stato possibile? Il voltare le spalle all’Arabia Saudita dell’amministrazione Usa di Joe Biden ha dato l’impressione a Riad di esser lasciata sola, nel suo intervento nel conflitto yemenita. Poi, il 2 aprile 2022, con un cessate il fuoco propiziato dall’Onu la guerra yemenita è entrata un letargo. Ansar Allah e Arabia Saudita, hanno cessato di combattersi. E ciò ha fatto da “anticamera” allo storico accordo del 10 marzo 2023 fra Iran e Arabia Saudita, per la normalizzazione dei rapporti diplomatici.Accordo mediato dalla Cina che ha così sfruttato il vuoto lasciato dagli Usa. Così, le milizie Huthi hanno potuto, dapprima accumulare esperienze e armi sufficienti a poter condizionare gli equilibri nel Mar Rosso sempre grazie al sostegno iraniano, per poi riorganizzarsi in attesa di questo loro “momento di gloria” con effetti globali.

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