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Vladimir Putin e "la maledizione del Caucaso": strage a Mosca, cosa cambia per lo zar

Vladimir Putin

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È il peggior attacco terroristico in Russia degli ultimi 20 anni quello alla sala concerti Crocus City Hall di Mosca. È salito a 133 vittime - tra cui tre bambini - il bilancio dei morti, un numero che purtroppo è destinato a salire. "Atto terroristico sanguinoso e barbaro", lo ha definito il presidente russo Vladimir Putin in un discorso diffuso in televisione, promettendo che i responsabili dell'attacco - "terroristi", "nazisti" - saranno puniti. "Tutti gli autori e gli organizzatori di questo crimine subiranno una punizione giusta e inevitabile. Chiunque siano, chiunque li abbia diretti. Ripeto, identificheremo e puniremo tutti coloro che stanno dietro i terroristi, che hanno preparato questo crimine. Questo è un duro colpo alla Russia".

Già. È un duro colpo alla Russia e allo zar. Lui che si erge a protettore del popolo russo, che punta tutto sulla sicurezza dei cittadini e dei confini, il 7 marzo scorso ha però ignorato gli allarmi lanciati dall'ambasciata americana e da quella britannica a Mosca che invitavano i propri concittadini a lasciare il Paese o di tenersi lontani dai grandi assembramenti come i concerti. Putin ha ignorato questo allarme. Addirittura lo ha definito un "ricatto" dell'Occidente "per indebolirci e intimidirci". 

 

 

E invece, purtroppo l'attentato c'è stato. È stato pure rivendicato dall'Isis ma Putin punta sull'Ucraina (la quale ha subito dovuto smentire di centrare con la strage): "Tutti e quattro gli autori diretti dell'attacco, tutti coloro che hanno sparato e ucciso persone, sono stati arrestati", ha detto il presidente russo. "Cercavano di nascondersi e si dirigevano verso l'Ucraina, dove, secondo le prime indagini, era stato predisposto un varco dal lato ucraino per attraversare i confine", ha aggiunto alludendo al legame fra gli attentatori e Kiev.

Ma il problema pare essere tutto interno e non nuovo rispetto alla storia recente della Russia. Il problema è legato al terrorismo islamico. Lo stesso Putin, ricorda il Corriere della Sera, "edificò la propria ascesa sulle macerie dei palazzi distrutti dagli attentati alla dinamite che nel settembre del 1999 uccisero 293 persone. Era stato nominato da poco primo ministro".

Quelle bombe "furono ufficialmente attribuite ai ribelli daghestani e ceceni. 'Andremo ad ammazzare i terroristi anche al cesso' disse il futuro presidente. Quella frase fece impennare la popolarità di un personaggio politico all’epoca sconosciuto alla maggioranza dei russi, e formò la sua immagine di 'uomo forte' alla quale fu fedele anche nei quattro drammatici giorni dell’ottobre 2002, durante il sequestro collettivo al teatro Dubrovka di Mosca". Allora "i 41 guerriglieri del comando ceceno vennero uccisi. Morirono però anche 130 ostaggi, la maggioranza dei quali avvelenati dai gas usati dalle Forze speciali durante l’irruzione".

 

 

Tutti i più recenti attentati sono stati di matrice islamica. "Il 29 marzo del 2010, a Mosca esplosero due bombe in altrettante stazioni della metropolitana. Morirono 39 persone. Il 21 agosto dello stesso anno, i servizi russi uccisero in Daghestan, l’organizzatore dei due attentati, Magomedali Vagabov. Il 24 gennaio 2011, all’aeroporto Domodedovo un terrorista dell’Inguscezia si fece esplodere facendo 38 vittime. L’atto venne rivendicato dalla sedicente repubblica islamica dell’Ichkeria (Cecenia e Inguscezia), in risposta alle 'persecuzioni dei musulmani in tutto il mondo'", si legge ancora.

Insomma, per Putin è "l’eterna maledizione del Caucaso" che ogni volta lo riporta al punto di partenza. Ma attenzione, ogni volta che lo zar viene messo in difficoltà reagisce in un solo modo: col sangue e con la violenza.

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