Elezioni europee e quelle americane: se l'unico nemico è a destra
P er una mezz'ora abbondante la tavola rotonda di ieri tra direttori di quotidiani al Festival della Tv di Dogliani, sul tema Europa-America: elezioni a confronto nel quadro della crisi geopolitica mondiale, è filata via liscia come l’olio. Non certo per colpa della conduzione della brava Annalisa Bruchi, quanto piuttosto per via del grande superpotere della sinistra: la mimetizzazione. Oltre a Mario Sechi, che dirige questo giornale, tra gli intervenuti c'erano: il direttore de La Stampa Andrea Malaguti; Stefania Aloia, la direttrice de Il Secolo XIX; Barbara Stefanelli, vice direttrice vicaria del Corriere della Sera Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it; Emiliano Fittipaldi, direttore del Domani.
Tutti più o meno equilibratissimi, sensibilissimi e obiettivissimi nel tracciare i contorni attuali di un’Europa che si appresta ad andare alle urne con delle guerre sanguinose in corso di svolgimento e con un nuovo equilibrio che si potrebbe creare in seno alle istituzioni Ue e all'Unione stessa. Cosa che sta già accadendo, da quando Giorgia Meloni è approdata a Palazzo Chigi. Gli ottimi rapporti con Ursula von der Leyen, la capacità di riportare l’Italia al centro dell'agenda politica comunitaria, la guida del G7, l’impatto di alcuni dossier storici di FdI e del centrodestra italiano sulle nuove politice europee, tutti temi snocciolati come fossero la cosa più normale del mondo.
Soprattutto, come fossero lontanissimi i tempi in cui i fogli diretti dagli astanti parlavano delle elezioni del settembre 2022 e della possibilità che Meloni diventasse premier come se uno tsunami di fascismo stesse per abbattersi sull’Italia e sull'Europa. Alché il direttore Sechi ha scelto di immolarsi per movimentare la faccenda, letteralmente stappando il confronto e attirando a sé mugugni di colleghi e di una parte del pubblico semplicemente dicendo la verità e ricordando a tutti di trovarsi non già in un simposio di diplomatici ma circondato da compagni. Virgolettato. «Le elezioni USA del 2020? Purtroppo le ha vinte Biden, e ora ci ritroviamo in mezzo a tre guerre: in Ucraina, a Gaza e nel Mar Rosso, con conseguente impatto su buona parte commercio mondiale», dice, tanto per mettere le cose in chiaro con coloro che, “sportivamente”, sono ormai costretti ad ammettere l’inadeguatezza del Presidente dem ma dimenticano di averlo coperto 4 anni fa di giubilo mediatico unipolare.
«In Europa invece vinceranno i conservatori, anche se dovesse confermarsi l’attuale maggioranza. Perché? Perché anche i socialisti stanno ormai portando nel loro programma concetti di destra: il probema della convivenza con i migranti, la gestione dei flussi, l'approccio in politica estera. I conservatori avanzeranno quindi culturalmente e numericamente e l'attuale format subirà delle variazioni», prosegue Sechi, con un concetto che sa di sentenza. Poi, un focus sulla Francia: «Questa tornata si inserisce nella lunga corsa alle elezioni presidenziali transalpine, col Rassemblement National che è primo in patria e alle europee esploderà, ma pure con l'ECR che può sorpassare Renew Europe guidato da Macron, che difatti ha capito che aria tira e si è inventato la candidatura di Mario Draghi alla Commissione europea». A beneficiare di queste manovre, sia politiche che elettorali, sarà l’Italia a guida Meloni, che «dacché si dicesse non contasse più nulla potrebbe avere addirittura un doppio ruolo, con un italiano alla Commissione e un premier alla guida del secondo gruppo dopo il PPE. Ultima variabile: se vincesse Trump, Meloni beneficerebbe del rapporto consolidato tra repubblicani e destra italiana; se vincesse Biden non ci sarebbero comunque problemi perché i rapporti personali con Meloni sono ottimi».
Il direttore Fittipaldi, di fronte a questo quadro di un’Europa che svolta a destra e di una Meloni protagonista, è il primo a gettare la maschera: «Questo risultato sarebbe disastroso». Certo, come se invece fino ad ora l’Ue fosse stata il giardino dell’Eden. Lui però, pur di attaccare la Meloni, si riscopre un “comunista conservatore”. Conservatore perché gli piace lo status quo, visto che Bruxelles una e trina sarebbe l’unica responsabile della nostra salvezza dalla pandemia, dal default, dalla catastrofe climatica e dalla comparsa dei quattro cavalieri dell'apocalisse. Comunista perché, proprio a proposito di green, ammette ciò che i “comunisti mimetici” di norma provano a negare: la necessità di far pagarela transizione verde ai cittadini, tassando i patrimoni e “ridistribuendo la ricchezza”.
A quel punto Sechi se la ride, ma gli altri capiscono di essere caduti in trappola e, perso per perso, decidono di sfoderare la “r” moscia e manifestarecomunismoin tuttele sue salse. Nel secondo giro diinterventiè tutti contro Sechi, con i conservatori che iniziano ad essere chiamati tutti indistintamente “fascisti”, con le uniche destre da celebrare che sarebbero quelle scandinave (cioè forze liberal di sinistra), con la citazione sconclusionata di tutti gli spauracchi vecchi e nuovi: Orban, Bolsonaro, fino ai recenti Milley e l’onnipresente Vannacci («uno che vuole le classi separate per i disabili è un fascista», dice Fittipaldi). Un esercito di guastafeste pronto a rovinare l'Europa portatrice deivangeli arcobaleno. Tragedia nella tragedia: l’unico partito destinato a crollare alle urne, in epoca di “climate change”, sono proprio i Verdi, dicono tutti con rammarico: «E grazie - risponde Sechi -, vogliono impoverire tutti. Ma come li si potrebbe votare?»
Facile, contando sulla demagogia, sulla fede nella scienza e sull’élitismo. Sembra finita,invece no, perché la coda del dibattito è un capolavoro surrealista: tutti (tranne Sechi) contrari alla necessità di finanziare un esercito comune europeo in tempi bui come questi (“con quei soldi costruiamole scuole”) e tutti vogliosi di appaltare la difesa al Pantalone d’Oltreoceano («il cattivone Trump non vuole pag re per difenderci»). La ricetta perfetta per un piano davvero curioso: realizzare il sogno del comunismo... col sedere parato dagli americani.