Talò, ex consigliere di Palazzo Chigi: "Cosa succede se Trump vince"
«Quell’immagine di Donald Trump, appena colpito, che si rimette subito in piedi e, sanguinante ma vigoroso, alza il pungo chiuso incitando la folla: “Fight, fight, fight” (lottiamo, lottiamo, lottiamo), come a dire non mollo sarà il fotogramma della campagna elettorale. Anche perché il contesto era perfetto, con le bandiere americane e la folla che subito ha risposto: “Usa, Usa, Usa...”. Un’immagine di grande potenza e unità».
Sarà la fotografia della vittoria?
«Non posso nascondere che, a caldo, è la prima cosa a cui ho pensato. Ma calma, la partita non è ancora chiusa. Questo è un episodio, di grande importanza, ma le elezioni americane, come tutte del resto, si vincono per un insieme di fattori».
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Certo però, ambasciatore, che da una parte c’è un uomo che sta in piedi anche se gli sparano, dall’altra ce n’è uno che non riesce a stare in piedi da solo...
«Non la metterei così. Certo, il pugno di Trump colpirà l’elettore americano, ma ci restano davanti mesi di campagna elettorale. Se dicessi che la corsa si è chiusa ieri, direi che il voto conta poco, invece sarà quello il momento cruciale, il cui esito tutti sono chiamati a rispettare, in nome della democrazia».
L’attentato a The Donald spingerà il Partito Democratico a insistere per cambiare Joe Biden o a confermare la sua candidatura?
«Si vedrà. Per ora mi sembra che il Partito Democratico, a partire dall’ex presidente Barack Obama, abbia avuto una giusta reazione di solidarietà verso l’avversario di Biden. Sono convinto che sia quella la via da percorrere».
Francesco Talò è stato ambasciatore italiano presso la NATO. Ha vissuto a New York per otto anni. Ha lavorato nella diplomazia di Palazzo Chigi. «Ero proprio a New York l’11 settembre 2001» ricorda, un altro giorno tragico per la democrazia americana. «Allora lo slogan fu subito “United we stand” (restiamo uniti), ma era più facile perché la minaccia veniva da fuori». E ora? «Le reazioni all’attentato in Pennsylvania» chiosa Talò «possono essere due: o un aumento della polarizzazione dello scontro e un ulteriore imbarbarimento dei toni, che sarebbe la risposta peggiore, visto che gli spari al candidato presidente sono l’effetto di una campagna fin qui troppo violenta, oppure una ritrovata unità, che sarebbe la chiave per non far deflagrare la situazione». Talò è uomo di mediazioni e lunghe visioni prospettiche. Persuaso che la demonizzazione dell’avversario porti al sangue, all’indomani dell’attentato a Trump si presta con Libero a immaginare, alla luce dei quattro anni già passati dall’ex presidente alla Casa Bianca, come un’eventuale sua vittoria possa impattare sull’Alleanza Atlantica e i rapporti degli Stati Uniti con l’Italia, l’Unione Europea e le principali potenze mondiali. Partendo dal fatto che ci sono due buone notizie per la Nato, la prima è che «l’alleanza si è dimostrata molto unita nel vertice della scorsa settimana per celebrare i suoi 75 anni, un compleanno epocale e per nulla scontato, visto che non ci sono precedenti di alleanze così lunghe nella storia», la seconda è che il nuovo segretario generale è Mark Rutte, «l’uomo ideale per ricoprire quel ruolo, ex leader di un Paese ponte come l’Olanda, che dialoga meglio con il mondo anglosassone, e abituato dalla sua storia politica in patria a formare e cementare coalizioni».
Ambasciatore, se vincerà, il secondo Trump sarà diverso dal primo?
«Tutti i presidenti, nel corso del secondo mandato, diventano più assertivi. E qui saremmo in presenza di un uomo già molto assertivo di suo...».
Ahi, ahi: c’è da preoccuparsi?
«Senza dubbio l’Europa ha molto bisogno della Nato. Pero, nell’attuale contesto, con un’aggressione della Russia nel cuore dell’Europa e la sfida della Cina, anche gli Stati Uniti ora hanno bisogno dell’Alleanza. Trump è uomo pragmatico e nel caso dovesse prevalere comprenderà come l’Occidente debba stare unito, se vuole vincere la sfida della propria sicurezza con Mosca e quella economica e tecnologica con Pechino e prestare fede al suo slogan “America first”. La Nato è uno dei meccanismi per tenere l’Occidente unito, guai a indebolire qualcosa che ne ha garantito la sicurezza per 75 anni».
Trump pretende che l’Europa metta mano al portafogli per finanziare la Nato...
«Ultimamente sono stati fatti passi significativi in tal senso. Il segnale è stato dato. Ho ragione di pensare che, anche con Trump alla Casa Bianca, gli Usa non abdicherebbero al loro ruolo di leader della Nato».
Trump però ha detto che, se vince, chiude la guerra in Ucraina in dieci minuti: significherebbe la vittoria di Putin e l’addio dell’Ucraina al sogno di entrare nella Nato?
«L’importante è che la guerra finisca in un modo giusto, senza una resa, che non sarebbe duratura. L’Occidente fa bene a continuare a sostenere Kiev, per difenderne la libertà, ma anche per fare opera di deterrenza rispetto alle mire espansionistiche di Mosca, che è un modo anche di tutelare il territorio dei Paesi della Nato».
Ambasciatore, di questo tuttavia Trump sembra meno convinto di lei...
«Quello che sarà il comportamento di Trump dipenderà in parte anche dall’Europa».
Lei non è quindi così pessimista rispetto allo scenario apocalittico che il mondo presenta?
«Bisogna conoscere meglio la geopolitica; il che significa essere consapevoli dei rischi, ma anche della forza che l’Occidente tuttora mantiene. Certo, la premessa irrinunciabile è investire in sicurezza, sempre di più».
Quali potrebbero essere i rapporti dell’Italia con un’eventuale presidenza Trump?
«I rapporti dell’Italia con gli Stati Uniti andranno bene a prescindere da chi vincerà a novembre. Il nostro governo è stabile, ha una prospettiva lunga di lavoro, e sotto la presidenza Biden ha cementato un’intesa tra le due nazioni che oggi possiamo definire strutturale. Gli Stati Uniti peraltro hanno capito che è sempre più importante rapportarsi con il Sud del mondo, con l’Africa, partendo da una visione che io definisco di Indo-Mediterraneo».
Quindi otterremo il commissario Nato speciale per il Mediterraneo?
«Il futuro Segretario Generale Rutte finora ha sempre mostrato di comprendere le esigenze e il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, come ha dimostrato un anno fa, quando ha accompagnato in Tunisia Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Sa che l’Africa è territorio di conquista ormai di Russia e Cina e che la Nato deve inserirla tra le proprie priorità».
A proposito di Indo-Mediterraneo, la presidenza Biden non è stata in grado di gestire la crisi in Medio Oriente...
«Per la verità, nessuno è stato in grado di gestirla. È la natura del terrorismo metterci di fronte a sfide impossibili o quasi. Trump siglò gli Accordi di Abramo, che erano un grande passo verso la pacificazione...».
Forse troppo grande, c’è chi sostiene che proprio per farli saltare Hamas ha programmato lo sterminio del 7 ottobre...
«In ogni caso c’è molto lavoro da fare. Con Israele, per metterlo in sicurezza, ma anche con i palestinesi, le cui esigenze di riconoscimento non potranno essere ancora ignorate. L’unica soluzione sul tavolo per ora è quella dei due popoli e due Stati. La via è rafforzare i rapporti con i Paesi Arabi moderati. Italia e Stati Uniti sono avanti su questo, bisogna lavorare perché lo faccia anche Israele».
Iran permettendo...
«Quella nel breve tempo mi pare una questione di difficile soluzione...».
Ambasciatore, finiamo con la Cina: se Trump vincerà, andrà alla guerra, commerciale e forse non solo?
«Dobbiamo far prevalere gli interessi che ci legano, anche con Pechino. Con la Cina il rapporto si sintetizza nella locuzione “no decoupling, sì derisking” (non rompere ma evitare rischi). La cosa che l’Europa e i suoi singoli Stati devono capire è che non possono immaginarsi come terzi tra Washignton e Pechino. È giusto che ciascuno persegua i propri interessi, ma l’asse occidentale deve restare saldo e compatto, altrimenti Pechino ci sopravanza».
Vale anche per i dazi?
«Il primo approccio nelle trattative è calare le carte pesanti, per poi passare a negoziare. È giusto impedire di essere sommersi da prodotti che diventano competitivi solo per ragioni ingiustificabili, ma l’importante è che non si faccia saltare il sistema, perché ormai Occidente e Cina sono interconnessi».
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