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Donald Trump, la trasformazione del tycoon

Corrado Ocone
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 La storia, anche della democrazia americana, è costellata di violenza politica. Sono vittime di stati leader di ogni partito o ispirazione, a cui spesso si tocca la sorte della morte. La fortuna ha fatto sì che questa volta i colpi di fucile sparati dall'attentatore non colpissero la vittima designata. Ma se la fortuna governa per metà, secondo Machiavelli, la vita degli uomini, per l'altra metà a guidarla è la virtù che i medesimi hanno per merito proprio.

E la virtù, nel senso forte e classico del termine, cioè amorale e assolutamente non moralistico, Donald Trump ha confermato, nel crudo e drammatico fraintendimento dell'attenzione, di non averne poca. Egli ha dimostrato, per chi avesse ancora qualche dubbio, di essere un guerriero indomito, un combattente nato, un eroe nel senso anch'esso classico del termine. La sua storia politica è significativa, da questo punto di vista. Sconfitto per pochi voti alle elezioni di quattro anni fa, si è risollevato avendo tutti contro: i “poteri forti del cosiddetto deep state; un diritto orientato e di parte; media aggressivi che, tassello dopo tassello, hanno costruito una retorica falsa o parziale su di sé pur di eliminarlo.

Facendo leva sullo stile comunicativo del magnate, sicuramente lontano da ogni bon ton, presentando come una sorta di “presa del Palazzo d’Inverno” quell’irresponsabile avvenimento scapestrato e goliardico che fu il cosiddetto “assalto al Campidoglio” dei suoi sostenitori, Trump è stato dipinto in questi anni come un «sovversivo», un mezzo «delinquente», un «subumano», uno scherzo della storia che aveva fatto irruzione per puro caso sulla scena della politica americana e che era destinato a uscirne altrettanto rapidamente e da tutti dimenticato . Pur puntando continuamente le loro tesi, i democratici, tornati al potere, non hanno potuto però impedire che Trump, indomito, non dandosi minimamente per vinto, non rinunciando nemmeno a uno dei tratti più discutibili ed eccessivi del suo carattere, ricompattasse poco alla volta il suo partito, sfidò un Biden in evidente declino fisico e politico e riconquistò la fiducia di buona parte del popolo americano, pronto a leggerlo per una seconda volta.

A coronamento di questa vicenda è poi arrivato l'esecrabile attentato dell'altro giorno. Immortalato da video e registrazioni, esso rimarrà per sempre impresso nell'immaginario del medioevo americano, cioè proprio di colui che egli vuole e sa rappresentare. Sporco di sangue all'orecchio e alla guancia, Trump pochi secondi dopo l'attentato era in piedi, sorretto a malapena dagli agenti di servizi, col pugno alzato a gridare per tre volte «Combatti!» («lotta!»). Quello dell'eroe guerriero è un archetipo iscritto nella nostra cultura, sia quella greca (si pensa ad Achille) sia quella giudaico-cristiana (si pensa a Giacobbe che combatte e vince un essere sconosciuto sulle rive del fiume). Come quella di Achille, anche l'«ira funesta» di Trump produce effetti politici non irrilevanti, consentendo a un'intera comunità di rispecchiarsi in essa e riconoscersi in un modo di idee e valori. A nulla vale esorcizzarla.

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