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Medioriente, quei 250mila profughi israeliani di cui l'Onu non si preoccupa

Giovanni Longoni
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Sarebbero 250mila i cittadini israeliani fuggiti dalle loro abitazioni in seguito agli orrori del 7 ottobre; di questi profughi interni, ben 80mila hanno abbandonato i villaggi al confine con il Libano per timore dei lanci di missili da parte di Hezbollah. Da subito infatti il gruppo sciita, per dare man forte all’alleato sunnita Hamas, ha iniziato a far piovere sul territorio dello Stato ebraico droni, razzi, missili. È quindi quasi un anno che questa gente è lontana dalle abitazioni e, cosa più importante, dai campi che nella maggior parte dei casi coltiva. La Galilea è la regione più verde d’Israele, quella delle colture di manghi e banane ma anche, verso l’interno, delle pinete e delle vacanze economiche in b&b. È allo stesso tempo l’area a più alta densità di cittadini arabi, i più restii ad abbandonare le abitazioni, come i drusi di Majdal Shams, la città del Golan dove a luglio un razzo libanese ha ucciso 12 ragazzini che assistevano a una partita di calcio. Gli attacchi dei terroristi sono un danno per queste decine di migliaia di persone ma anche per l’intero Paese. Le televisioni e i siti web mondiali mostrano le immagini delle colonne di auto di libanesi in fuga dalla guerra. Molti riparano in Siria. Dei profughi israeliani invece si parla poco, al di fuori del loro Paese. E non se ne discute alle Nazioni Unite. Eppure sono un tema importante. (...) 

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