Sull'atomo iraniano è già tutti contro tutti

Diffidenza totale tra le parti: Teheran non si illude sulle aperture americane. Ma anche Israele è freddo sulla mossa di Trump
di Daniel Mosserisabato 19 aprile 2025
Sull'atomo iraniano è già tutti contro tutti
3' di lettura

L’unica certezza è che nessuno si fida di nessuno. L’ostilità fra Iran e Stati Uniti non è solo legata alla presidenza Trump ma è un assioma delle relazioni internazionali dal 1979, quasi mezzo secolo fa. Fra i paesi più interessati, poi, al secondo round del negoziato indiretto che si apre oggi all’ambasciata dell’Oman di Roma fra gli Usa e l’ex Persia in ordine al programma nucleare di Teheran c’è Israele, l’unica nazione che l’Iran minaccia da annidi cancellare dalle mappe geografiche.

Lo stato ebraico non solo non vuole che la Repubblica islamica possa arrivare alla bomba atomica ma teme anche che lo stesso Trump, magari in cambio di qualche mossa a sorpresa degli iraniani, si faccia abbindolare dagli ayatollah concedendo loro ciò che Israele più teme. La relativa imprevedibilità del 47° presidente degli Stati Uniti è un fattore dell’equazione che preoccupa i dirigenti israeliani dal primo ministro Benjamin Netanyahu in giù.

COME BIDEN
E non si tratta di congetture ma di fatti: è bastato leggere le notizie lasciate filtrare fra mercoledì e giovedì dall’ufficio di Netanyahu su un possibile attacco aereo israeliano contro l’Iran nei mesi scorsi: là dove la Israeli Air Force era pronta a replicare alla doppia aggressione iraniana condotta con missili balistici ad aprile e a ottobre del 2024 contro Israele puntando dritta agli impianti nucleari iraniani, sarebbe stato lo stesso Trump a imporre il proprio veto all’alleato. In buona sostanza la stessa posizione dell’amministrazione Biden: vi aiutiamo a proteggervi dall’Iran, ma non vi autorizziamo ad attaccarlo. E chissà se il criptico annuncio diffuso venerdì sera dall’ufficio di Netanyahu – «il primo ministro rilascerà una dichiarazione speciale al termine dello Shabbat su una questione diplomatica» – è legato ai colloqui romani mediati dalla diplomazia dell’Oman, il paese dove le parti si sono già parlate, indirettamente, una settimana fa, oppure se riguarda “solo” il conflitto con Hamas a Gaza. Teheran non si fa troppe illusioni.

«Sebbene nutriamo seri dubbi sulle intenzioni e sulle motivazioni della parte americana, parteciperemo comunque ai negoziati di domani», ha messo le mani avanti il ministro degli Esteri dell’Iran Abbas Araghchi parlando venerdì da Mosca durante una conferenza stampa con il suo omologo russo Sergej Lavrov. Araghchi ha ribadito le intenzioni del regime iraniano: «Siamo pienamente determinati a perseguire una soluzione pacifica per il programma nucleare pacifico dell'Iran». Già la settimana scorsa l'Iran avrebbe fatto sapere alla controparte di essere disposto ad accettare alcune restrizioni sull'arricchimento dell'uranio, richiedendo però «garanzie assolute», scrive il Times ofIsrael, che il presidente Trump non abbandonerà nuovamente l'accordo sul nucleare.

Una richiesta sensata visto che era stato proprio The Donald a mandare a gambe all’aria l’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) al quale aveva lavorato il suo predecessore Barack Obama. Ed era stato ancora Trump a imporre dure sanzioni economiche alla Repubblica islamica che, dal canto suo, ha ripreso ad arricchire l’uranio superando i limiti fissati dal Jcpoa mentre Israele cercava di rallentare il processo ora eliminando alcuni fisici nucleari iraniani ora infettando con virus elettronici i sistemi informatici dei laboratori degli ayatollah.

GARANZIE
Oggi è la stessa Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, a chiedere agli americani garanzie sia sul mantenimento delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio sia sulle quantità di materiale fissile già in mano iraniana. «Durante i colloqui indiretti in Oman, l’Iran ha capito che Washington non intende che l'Iran interrompa tutte le attività nucleari, e questo può costituire un terreno comune per avviare negoziati equi», ha affermato venerdì una fonte persiana ripresa dalle agenzie internazionali. Non proprio la posizione espressa dall’inviato speciale americano Steve Witkoff che solo giorni fa chiedeva lo stop dell’arricchimento. Ma questa Casa Bianca non è dogmatica né gli iraniani sono degli sprovveduti. Proprio di queste ore è l’annuncio da parte di Hezbollah che non deporrà le armi in Libano se prima Israele non si ritirerà del tutto dal paese dei Cedri. «C’è il totale sostegno dell’Italia alla mediazione dell’Oman fra Usa e Iran», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha incontrato il suo omologo omanita Badr Albusaidi, arrivato ieri a Roma nel ruolo di mediatore per la nuova tornata di colloqui.