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Trump, la verità sullo scontro con Harvard

Le maggiori università Usa sono diventate la fucina dell’élite cinese Discriminati i bianchi, nessun controllo sui violenti e regimi tirannici
di Carlo Nicolato sabato 24 maggio 2025

4' di lettura

Nel dare la notizia della revoca ad Harvard della certificazione per il Student and exchange visitor program, che di fatto impedisce alla prestigiosa università bostoniana di iscrivere studenti stranieri e obbliga quelli già iscritti a trasferirsi per non perdere il visto, il Segretario per la Sicurezza Interna Kristi Noem ha affermato che l’Amministrazione ritiene «Harvard responsabile per aver fomentato la violenza, l’antisemitismo e per aver collaborato con il Partito Comunista Cinese nel suo campus» e che questo è «un avvertimento per tutte le università e le istituzioni accademiche del Paese». Questo significa che, al netto degli usuali interventi di sospensione dei giudici, Harvard potrebbe essere solo la prima di una lunga serie di decisioni simili giustificate dalla necessità di garantire la sicurezza nazionale che non è solo minacciata dall’esterno, ma anche e soprattutto da una narrazione interna discriminatoria che punisce tutto ciò che è «occidentale e bianco» e giustifica al contrario tutto ciò che lo combatte, Hamas compresa, secondo le classiche linee guida del pensiero woke.

REPRESSIONE DEGLI UIGURI
Il riferimento alla Cina della Noem tuttavia riveste un’importanza vitale per la strategia dell’Amministrazione Trump e per il futuro del Paese stesso. Solo qualche giorno fa la Commissione speciale della Camera sulla Cina e la Commissione per l’istruzione e la forza lavoro avevano inviato ad Harvard una lettera in cui «si sollevano gravi preoccupazioni» in merito ad alcuni fatti specifici relativi a una presunta collaborazione con Pechino. In buona sostanza l’università viene accusata di aver arruolato tra i suoi ranghi membri dello Xinjiang Production and Construction Corps (XPCC), un gruppo paramilitare sanzionato dagli Stati Uniti che svolge un ruolo centrale nel genocidio dei musulmani uiguri, di aver collaborato con università cinesi collegate all’esercito, tra cui quelle di Tsinghua, Zhejiang e Huazhong e di aver collaborato con scienziati cinesi che si occupano di ricerca sul trapianto di organi «in mezzo a crescenti prove delle pratiche di espianto forzato di organi da parte del PCC». Secondo i detrattori di Trump e della sua Amministrazioni queste sono solo scuse, non provate, per colpire appunto tutte quelle università dalle quali negli ultimi anni sono uscite tutte le peggiori manifestazioni progressiste dal movimento woke a quello pro Hamas, ma il riferimento agli studenti o professori cinesi nasconde in realtà implicazioni che vanno ben oltre gli episodi citati e che hanno molto a che fare in realtà con il fatto che Pechino è di gran lunga l’avversario economico e geopolitico che più preoccupa gli Stati Uniti. Insomma quella in atto sarebbe una sorta di riedizione della “China Initiative” lanciata dal dipartimento di Giustizia nel 2018, sotto la prima amministrazione Trump, che all’epoca puntava a indagare migliaia di scienziati sospettati di nascondere legami con il governo cinese e che ora vuole estirpare il problema alla radice, evitando che gli stessi cinesi si formino nelle più prestigiose università americane.

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Secondo uno studio della Stanford University pubblicato lo scorso anno la “China Initiative” sarebbe stato un «fattore di spinta significativo» per l’esodo di scienziati cinesi negli ultimi anni. Numeri importanti, si parla di un aumento del 75% di ritorni nella madre patria, ma anche di una tendenza che era già in atto da oltre un decennio, da quando cioè l’economia cinese ha iniziato a crescere in doppia cifra e a fare paura a Washington. La ricerca ha calcolato un totale di 19.955 scienziati di origine cinese che hanno iniziato la loro carriera negli Stati Uniti ma sono partiti per altri Paesi e in buona parte sono tornati a casa attratti da nuove opportunità ma anche dalla politica di Pechino che ne ha favorito il ritorno.

MAKE CHINA GREAT AGAIN
In pratica è successo che gli Stati Uniti hanno democraticamente dato a cittadini cinesi la possibilità di formarsi nelle loro università più prestigiose, tra le quali appunto Harvard, di fare carriera e acquisire conoscenze di alto livello che adesso da scienziati e professori stanno applicando o insegnando a beneficio dell’industria cinese e del Partito Comunista. Un articolo di qualche tempo fa del South China Morning Post di proprietà di Alibaba intitolato «Gli scienziati cinesi lasciano le migliori università americane per assumere ruoli di alto profilo in Cina, dando una spinta a Pechino nella sua corsa ai talenti globali», pubblicava una lunga lista prestigiosi fuggiaschi riparati sotto la grande ala del PCC. Tra questi ad esempio il «genio della matematica» Yau Shing-Tung che da Harvard si è trasferito alla Tsinghua di Pechino, l’esperto di dati marittimi Li Zhijin che ha lavorato anche per la Marina degli Stati Uniti che adesso lavora per il governo cinese, o il «genio biochimico» Kunliang Guan che ha lasciato gli Usa per la Westlake University nella provincia orientale dello Zhejiang, università privata per modo di dire.

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