Usa, caccia alla spia cinese nelle università

di Carlo Nicolatosabato 31 maggio 2025
Usa, caccia alla spia cinese nelle università
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Lo avevamo scritto su queste pagine qualche giorno fa, l’offensiva di Trump contro gli studenti stranieri nelle università americane ha un solo vero grande obiettivo, la Cina. La dimostrazione è arrivata con l’annuncio da parte del Segretario di Stato Marco Rubio che gli Stati Uniti inizieranno a revocare «aggressivamente» i visti agli studenti di nazionalità cinese che studiano nelle università americane. Rubio, che non ha dato ulteriori indicazioni sui tempi e le modalità, ha accennato esplicitamente agli studenti «con legami con il Partito Comunista Cinese che studiano in settori sensibili», aggiungendo che è in programma anche la un rafforzamento dei criteri per tutte le domande di visto provenienti da Cina e Hong Kong.

Ovviamente c’è chi ha sottolineato il fatto che in particolare quegli studenti sono una delle maggiori fonti di reddito per le Università americane il cui prestigio a questo punto rischia di essere intaccato da una pericolosa mancanza di fondi. Ma c’è anche chi ha fatto presente che se combatti un Paese perché lo consideri un concorrente economico sleale, come gli Usa stanno facendo da anni con la Cina, non puoi continuare a formare la sua classe dirigente nelle tue università. Non puoi permetterti di ospitare centinaia di migliaia di studenti, formarli, istruirli al massimo livello e poi lasciare che vengano impiegati dal Partito Comunista Cinese nelle proprie università e nelle proprie aziende.

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Non puoi permetterti di correre il rischio che alcuni di questi studenti che poi diventano professori siano inquadrati nella pachidermica struttura del ministero cinese per la Sicurezza dello Stato, che conta 110mila collaboratori ufficiali, agenti segreti esclusi. Questo dovrebbe essere chiaro anche all’Europa. Per l’anno accademico in corso oltre 277mila studenti cinesi si sono iscritti alle università americane, superati solo dagli studenti indiani. In Gran Bretagna, tra scuole superiori e università, si contano almeno 150mila studenti di nazionalità cinese. In quelle tedesche sono 50mila, in quelle francesi 30mila.

Segno che l’America come l’Europa attira ancora «i migliori cervelli», come ha scritto ieri lo Spiegel invitando Berlino ad approfittare delle revoche dei visti americani, ma poi non possiamo lamentarci se abbiamo le spie in casa e se i nostri funzionari vengano corrotti con qualche migliaio di euro e due biglietti dello stadio. In Belgio è in corso un’indagine su alcuni parlamentari europei che si sarebbero appunto fatti corrompere da una delle maggiori aziende cinesi, la Huawei, già al centro di controverse questioni di spionaggio.

Un’inchiesta del 2020 aveva svelato l’esistenza di una vasta rete di agenti dell’intelligence cinese a Bruxelles, con un numero di spie stimato attorno alle 250 unità. Con la stessa accusa di spionaggio, a Berlino lo scorso anno sono stati arrestati 4 cinesi impiegati in un’azienda di Düsseldorf che aveva da 7 anni una collaborazione con l’Università di Duisburg sulla ricerca di tecnologie militari. Certo non tutte quelle centinaia di migliaia di studenti cinesi in Europa sono spie, ma visto che arrivano da un Paese che la stessa Commissione Von Der Leyen ha definito un «avversario» dal punto di vista economico e un «rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi», andrebbe forse utilizzata maggiore accortezza.

Negli Stati Uniti peraltro si contano ogni anno i casi di rinomati professori cinesi che ritornano in patria portando con loro tutto il know how acquisito in America, lecitamente o meno, per essere inquadrati in università private di facciata. Lo stesso Yaqiu Wang, ricercatore di diritti umani arrivato anche lui negli Stati Uniti dalla Cina come studente, ha riconosciuto ieri che Pechino ha effettivamente approfittato dell’apertura accademica degli Usa per impegnarsi in spionaggio e furto di proprietà intellettuale.

Come c’era da aspettarsi Pechino ha accolto la notizia piuttosto scompostamente. Il Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato di aver formalmente sollevato obiezioni nei confronti di Washington in merito. E un portavoce del governo cinese, Mao Ning, ha accusato l’amministrazione Trump di aver usato la sicurezza nazionale e l’ideologia come pretesto per una decisione «irragionevole», che «ha seriamente danneggiato i legittimi diritti e interessi degli studenti cinesi e interrotto i normali scambi culturali tra i due Paesi. Questa pratica politica e discriminatoria degli Stati Uniti», ha aggiunto, «ha smascherato le bugie della cosiddetta libertà e apertura che gli Stati Uniti hanno sempre pubblicizzato, danneggiando ulteriormente l’immagine internazionale, nazionale e la credibilità nazionale degli Stati Uniti».

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