«Nessuno sa quello che farò». Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non nasconde un certo compiacimento nel tenere il mondo con il fiato sospeso. Aiuterà Israele a distruggere gli impianti nucleari iraniani scaricando per esempio la bomba ad alta penetrazione GBU-57 da 13,6 tonnellate sul sito di Fordo costruito nella montagna di Qom? Oppure forzerà la mano ai contendenti, obbligando Israele a cessare le ostilità, imponendo al tempo stesso la denuclearizzazione a una Repubblica islamica in inferiorità militare? In attesa che prenda una decisione, fanno fede le sue recenti parole su quello che non vuole che accada: «Non voglio un conflitto di lunga durata e non voglio che l’Iran abbia la bomba atomica. Se ce l’avessero la userebbero contro di noi e contro altri paesi e ci sarebbe il terrore nel mondo», ha dichiarato Trump mercoledì dal giardino della Casa Bianca. Alla domanda su cosa avesse detto al primo ministro Benjamin Netanyahu durante la loro ultima telefonata, il presidente ha riferito: «(Gli ho detto) continua così. Netanyahu è un brav’uomo che è stato trattato molto ingiustamente dal suo paese».
Trump ha anche criticato l’Iran per non aver firmato un accordo per il nucleare civile nei 60 giorni che lui stesso aveva concesso.
Oggi la sua pazienza è finita: «È tardi per parlare», ha concluso, invocando la «resa incondizionata» della Repubblica islamica. In serata, durante la visita della Juventus allo Studio Ovale, ha aggiunto: «Il regime può cadere. L’intervento? Non ho ancora deciso. Abbiamo un piano se il regime cade, cerchiamo la vittoria totale cioè niente atomica per l’Iran».
Iran, il timore di Trump: "Hanno già l'atomica? Non si può escludere"
Una domanda starebbe assillando Donald Trump: ma è possibile che la bomba atomica iraniana sia già disponi...
Alla possibilità poi non così remota che gli Stati Uniti si schierino dalla parte dell’alleato israeliano credono per primi gli iraniani. Lo scrive il New York Times dopo aver sentito due funzionari americani che hanno letto i rapporti dei servizi di intelligence. Oltre ai bombardieri B-52 parcheggiati già da un paio di mesi sull’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, gli Usa stanno spostando altre unità militari verso la regione, a cominciare da una trentina di aerei di rifornimento che potrebbero essere utilizzati per assistere i caccia a proteggere le basi americane o che in alternativa possono essere utilizzati per estendere la portata dei bombardieri da impegnare contro gli impianti nucleari iraniani. Anche la portaerei Uss Gerald accompagnata dal suo gruppo d’attacco sta puntando verso il Golfo, ha rivelato Cnn. Giorni fa il Pentagono aveva già dato ordine alla USS Nimitz di lasciare le acque del Mar cinese meridionale per unirsi alla USS Carl Vinson che, a sua volta, è già pronta a intervenire nel conflitto con il suo gruppo d'attacco: difficile immaginare che gli Usa spostino 3 portaerei solo per far paura all’Iran. Non va poi dimenticato che se Washington chiama, Londra risponde. Se il governo conservatore di Sunak aveva trovato naturale aiutare Israele a difendersi dall’attacco aereo scatenato dall’Iran ad aprile 2024, solo 5 giorni fa il premier laburista Keir Starmer aveva messo in chiaro che il Regno Unito non ha aiutato lo stato ebraico. Ma ora che Trump sembra muoversi, Starmer ha presieduto ieri una riunione del comitato d’emergenza Cobra: Diego Garcia è un atollo britannico e il sì di Londra è necessario per far alzare in volo i bombardieri americani.
D’altro canto, se Trump deciderà per un impegno diretto nel conflitto, la Repubblica islamica non resterà a guardare, scrive ancora il Nyt, ricordando i circa 40 mila militari americani di stanza nelle basi a stelle e strisce in Medio Oriente. Senza dimenticare che se oggi l’Iran è un paese incapace di difendere i propri confini, la sua specialità è quella di diffondere il terrore in Paesi anche lontani grazie a una sviluppata rete di emissari e alleati. I primi pronti a dare una mano sono gli Houthi, i ribelli sciiti dello Yemen. Trump li ha bombardati fino a poche settimane fa ottenendo che smettessero di attaccare le navi che transitano per lo Stretto di Hormuz. Da allora gli Houthi si sono “limitati” a lanciare missili contro Israele ma non è escluso che puntino di nuovo a scombussolare i traffici marittimi.
In attesa di Trump, Israele continua ad attaccare: 40 obiettivi colpiti ieri nell’ovest dell’Iran (fra i quali degli impianti per la produzione di componenti per missili) e almeno due a Teheran, un impianto per la produzione di centrifughe e il quartier generale della polizia. L’agenzia Onu per l’energia atomica (Aiea) ha certificato danni all’impianto TESA di Karaj e al Centro di Ricerca di Teheran. «Stiamo colpendo impianti nucleari, missili, centri di comando e simboli del regime», ha affermato il premier israeliano Benjamin Netanyahu nella sua dichiarazione video quotidiana, «stiamo subendo perdite dolorose, ma Israele è più forte che mai». Gli iraniani appaiono sempre più in difficoltà: hanno sparato una salva di missili alle 1:40 di mercoledì e altri cinque solo 18 ore dopo. Nessuno dei cinque proiettili è andato a segno. Domani è in programma la riunione del Consiglio di sicurezza Onu.