A sorpresa, l'Opec+ ha annunciato di avere raggiunto un accordo di principio per aumentare la produzione giornaliera di petrolio di 550.000 barili al giorno a partire da agosto. L’intesa, di cui riferisce Bloomberg citando alcuni delegati, è stata presa nel corso di un vertice in modalità virtuale. Gli analisti, per la verità, si aspettavano che sarebbe stato prodotto più petrolio. Ma un rialzo di 411.000 barili al giorno, in linea con quelli annunciati a maggio, giugno e luglio. L’incremento è invece maggiore, e sembra conferma la determinazione dell’Opec+ di aumentare la produzione nonostante i rischi di un eccesso di offerta che potrebbe pesare sui prezzi.
A spingere in questo senso è stata soprattutto l’Arabia Saudita, che continua innanzitutto a perseguire un recupero delle sue quote di mercato. Cerca forse anche di compiacere Donald Trump, secondo il quale potrebbe essere una riduzione dei prezzi del petrolio a indurre Putin a più miti consigli? Difficile da decifrare, dal momento che la Russia si trova tra gli otto Paesi che hanno condiviso la spinta saudita. Gli altri sei sono Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Iraq, Kazakistan Algeria. Iran e Venezuela hanno il problema di stare sotto sanzioni, la Libia è divisa da una guerra civile, i membri africani Nigeria, Gabon, Guinea Equatoriale e Congo sono politicamente deboli; anche gli altri membri del gruppo Plus a parte Russia e Kazakistan, e cioè Azerbaigian, Bahrein, Brunei, Brasile, Malaysia, Messico, Oman, Sud Sudan e Sudan, tendono a essere meno coinvolti. Può essere che la necessità di trovare risorse immediate per finanziare la guerra nell’immediato sia maggiore del timore di ciò che potrebbe comportare un crollo dei prezzi; può essere che Putin non se la sia sentita di contrariare i sauditi, che sono da sempre la leadership dell'organizzazione. La strategia dell’Opec+potrebbe anche essere volta a mettere fuori mercato la produzione di shale oil, che richiede prezzi alti per essere sostenibile.
O anche a sostenere il consumo di energia fossile contro le spinte per le energie alternative. Lo stesso Trump aveva auspicato una riduzione del prezzo del petrolio non solo per togliere risorse a Putin, ma anche per sostenere l’economia e tenere a bada l’inflazione. In questo senso va l’intervista a Fox News in cui Marco Rubio ha invitato il governo cinese a intervenire diplomaticamente presso l’Iran per evitare una possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, «perché anche loro dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro approvvigionamento di petrolio». A fare eco a questa posizione è stato anche il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, che in un’intervista a Nbc News ha definito la possibile chiusura dello stretto come «un suicidio per l’economia iraniana». Stando a quanto riferito da alcuni delegati, però, si tratterebbe semplicemente di trarre beneficio da mercati ancora robusti nell’immediato e di avvantaggiarsi della domanda estiva nell’emisfero nord, magari anticipando le mosse di Trump sui dazi.
L’aumento di agosto consentirebbe infatti all’Opec+, al cui interno ci sono state tensioni sul rispetto delle quote di produzione da parte dei vari membri, di ripristinare entro settembre il taglio di 2,2 milioni di barili al giorno avviato alcuni anni fa. Ma all’interno dell’Opec+ si sta anche consolidando una contrapposizione tra Kazakistan e Iraq, che aumentano la produzione, e Arabia Saudita e Russia, che invece vogliono aumentare le entrate. Negli ultimi mesi le scorte globali di petrolio sono cresciute di un milione di barili al giorno per effetto del raffreddamento del consumo in Cina e dell’aumento della produzione negli Usa e in altri paesi delle Americhe. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia i mercati si troveranno in una situazione di eccesso di offerta nella parte finale dell’anno, con gli analisti di Goldman Sachs e JP Morgan che prevedono prezzi attorno i 60 dollari al barile, o anche sotto, nel quarto trimestre dell’anno. L’altro ieri un barile costava sui 66-67 dollari e 60 è appunto la quota sotto la quale lo shale oil esce dal mercato. L’anno scorso i prezzi del Brent avevano oscillato tra 70 e i 95 dollari al barile tra tensioni geopolitiche e il rallentamento della domanda cinese. Il 2025 si era aperto con le stesse incognite, aggravate dall’incertezza sulla linea della nuova amministrazione Trump e da un cambio di rotta dell’Opec+, che aveva iniziato ad aumentare la produzione.