I democratici Usa? Una "grande tenda" che resterà vuota

La brutta figura del presidente del Comitato nazionale democratico, Ken Martin, incalzato sulla "globalizzazione dell’Intifada" del dem Zohran Mamdani
di Costanza Cavallisabato 12 luglio 2025
I democratici Usa? Una "grande tenda" che resterà vuota
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Primus inter pares dei democratici tonanti in tv e insignificanti (caratteristiche comuni alla sinistra di là e di qua dell’Atlantico), Ken Martin, presidente del Comitato nazionale democratico, ha dato una risposta di scarsa efficacia e poca verve a una giornalista di Pbs News che gli chiedeva conto della “globalizzazione dell’Intifada”, proposito tanto caro e mai smentito da uno dei suoi, il candidato sindaco democratico di New York Zohran Mamdani. «Esistono i democratici conservatori, centristi, progressisti come me e infine questa nuova tipologia di democratici di sinistra -ha detto Martin - Noi vinciamo perché siamo una coalizione, una grande tenda in cui si può dibattere». Voto: 3 per la lucidità (ma dov’è, esattamente, che vincono?), 10 per l’autodafé (esistono opinioni contrastanti all’interno di un partito, è fisiologico, ma portare il dibattito anche all’esterno è pesticida elettorale). Martin è un funzionario semi -anonimo che è stato per decenni nelle trincee del partito prima di diventarne leader a livello nazionale.

Nel suo primo discorso ha chiarito che era ora di tornare a combattere per i lavoratori. È il volto del rinnovamento, dell’esame di coscienza post -sconfitta. Ma come possa essere una faccia della medaglia mentre sull’altra campeggia il volto del socialista Mamdani, che vuole autobus gratuiti, affitti bloccati e supermercati comunali, è tutto da vedere. Wall Street, intanto, non ne vuole sapere di sciropparsi per i prossimi quattro anni un tizio, Mamdani, che dice: «Non credo che dovremmo avere miliardari» (voto: 4. Qualcuno spieghi al socialista che l’America è quel posto in cui per essere eletti conviene dire: «Credo che tutti dovrebbero diventare miliardari»).

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E così un gruppo di milionari s’è riunito sotto il nome “New Yorkers for a Better Future Mayor ‘25”, newyorchesi per un futuro migliore, e si è messo al lavoro per raccogliere 20 milioni di dollari da “investire” nella sconfitta dell’outsider 33enne alle elezioni di novembre. L’iniziativa punta a creare un fronte comune contro il giovane candidato. Ancora più incerta è la risposta degli elettori, che aspirano a un ricambio generazionale: secondo un sondaggio Ipsos di giugno circa la metà dei votanti democratici è «insoddisfatta dell’attuale leadership» e il 62% ha dichiarato che «i leader del partito dovrebbero essere sostituiti». La delusione della sinistra americana per i propri rappresentanti è storica. Ma l’ultima volta che la base di un partito s’è stufata di essere delusa e ha reagito è stato nel 2009, quando una costola dei repubblicani si staccò e diede vita al Tea Party. Liberisti e libertari, gli esponenti della costola (vedi Sarah Palin) sono stati i prodromi della vittoria di Donald Trump. Sta per arrivare un populismo di sinistra?, si sono chiesti gli analisti politici. Voto agli analisti: 5. Poco studio. Bastava chiedere un suggerimento a noi, che già abbiamo visto passare Di Maio e l’abolizione della povertà, Danilo “pancia a terra” Toninelli, i flash mob delle sardine, i gilet arancioni più ingrilliti di Grillo. Tutti a cantare su una zattera che correva verso la cascata.