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Fbi, dalle carte sul Cremlino una bomba su Barack Obama

di Costanza Cavallivenerdì 1 agosto 2025
Fbi, dalle carte sul Cremlino una bomba su Barack Obama

3' di lettura

Mentre tutta la stampa americana è impantanata nel gossipparo, e così agostano, caso Epstein, l’amministrazione Trump si è trovata tra le mani documenti di ben altra gravitas. Il direttore dell’FBI Kash Patel ha scoperto migliaia di documenti sensibili relativi alle origini dell’inchiesta sulle accuse di un’interferenza elettorale russa nelle elezioni statunitensi del 2016 con l’obiettivo di sabotare la campagna presidenziale di Hillary Clinton e favorire la vittoria di Donald Trump. Lo scandalo divenne noto come Russiagate e finì in niente. Dopo tre annidi lavoro e l’esame di oltre 200 contatti tra la campagna del tycoon e funzionari russi, nel 2019 vennero rese pubbliche le 448 pagine del rapporto Mueller, dal nome del procuratore speciale a capo dell’indagine. La conclusione? La Russia effettivamente tentò di interferire nelle elezioni, soprattutto sulle infrastrutture elettorali, quelle cioè che interessano il conteggio dei voti (e lo ha confermato anche John Ratcliffe, attuale direttore della CIA di Trump), ma senza successo. Soprattutto, non sono mai state trovate prove per presentare accuse di “cospirazione” o “coordinamento” criminale contro il presidente.

I plichi ritrovati da Patel erano impilati nelle cosiddette Burned Bags, letteralmente “borse da bruciare”: sacchi utilizzati per contenere documenti riservati o classificati che devono essere distrutti mediante incenerimento. Secondo quanto ha riportato Fox News, le borse sono state scovate in una stanza segreta nella sede centrale del Bureau a Washington. Uno dei documenti rinvenuti è un allegato a un secondo rapporto sul Russiagate, quello del 2023 dell’allora procuratore speciale John Durham, che tornò a sfruculiare l’indagine originale. La definì «gravemente viziata» e senza alcun fondamento probatorio.

Le prove che non confortavano la tesi della cospirazione vennero cioè, con perversa inesorabilità, infilate sotto il tappeto. «Una valutazione onesta di queste informazioni – aggiunse infatti Durham – avrebbe dovuto indurre l’FBI a mettere in discussione non solo le premesse dell’indagine, ma anche a chiedersi se l’Agenzia fosse stata manipolata per scopi politici». Fat to sta che l’appendice al rapporto Durham, che include i dettagli delle informazioni da lui esaminate, stava proprio nelle scatole pronte da mandare al macero. Adesso sarà declassificata: la pubblicazione dovrebbe avvenire a giorni, dopo il passaggio formale al presidente della commissione Giustizia del Senato, Chuck Grassley.

Sempre Fox News ha citato una fonte, cui è stato concesso l’anonimato per trattare questioni di intelligence sensibili non ancora declassificate, che ha già anticipato qualcosa: fin dal 2019, fonti straniere credibili avrebbero avvisato l’intelligence statunitense che l’FBI aveva avuto un ruolo nella diffusione della presunta collusione tra Trump e Putin. «La pubblicazione dell’allegato classificato darà maggiore credibilità all’affermazione che ci fosse un piano coordinato all’interno del governo degli Stati Uniti (quello di Obama, ndr) per aiutare la campagna di Clinton a fomentare la controversia che collega i due presidenti», ha rivelato la fonte. Per quanto riguarda gli altri documenti, lo staff di Patel sta lavorando per consegnarli al Congresso, anche perché, ha commentato Trump dopo aver ricevuto la notizia, «voglio che tutto venga mostrato: è giusto e ragionevole».

La scoperta delle Burned bags arriva a stretto giro dalle rivelazioni della direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard sul coinvolgimento di Barak Obama nella fabbricazione del Russiagate: nel luglio 2016, il presidente Obama sapeva – perché l’allora direttore della CIA John Brennan lo aveva informato – che la campagna di Clinton aveva una strategia per “diffamare” Trump collegandolo alla Russia.

Non solo: dopo la vittoria del tycoon, Obama ordinò ai funzionari dell’intelligence di redigere e pubblicare in fretta una valutazione per evidenziare l’interferenza di Mosca nelle elezioni e sfruttò l’occasione per incriminare Trump. Sarebbe bastato poco, a Obama, per non finire adesso, a sua volta, nei marosi della strumentalizzazione della giustizia: adempiere ai suoi obblighi e limitarsi a indagare sullo spionaggio informatico del Cremlino ai danni della nazione di cui era ancora presidente. Senza avere il bisogno di trovare in Trump un capro espiatorio.