Volodymyr Zelensky, le debolezze del presidente ucraino fra accuse e rimpasti

La firma sul disegno di legge che avrebbe privato della loro autonomia le due agenzie anticorruzione hanno proiettato una luce fosca sul suo futuro
di Carlo Nicolatolunedì 4 agosto 2025
Volodymyr Zelensky, le debolezze del presidente ucraino fra accuse e rimpasti
3' di lettura

È ancora presto per dire se la scorsa settimana Volodymyr Zelensky si sia giocato il suo futuro da incontrastato presidente dell’Ucraina, ma certo la firma sul disegno di legge che avrebbe privato della loro autonomia il Nabu e il Sapo, cioè le due importanti agenzie anticorruzione, le manifestazioni di piazza che ne sono seguite, e la repentina marcia indietro dopo l’intervento dell’Unione Europea, hanno proiettato una luce fosca sul suo futuro. A suo dire il nuovo disegno di legge presentato, sui cui dovrà esprimersi il Parlamento entro la fine della settimana, ha già risolto l’equivoco con il ripristino dell’indipendenza delle due agenzie e il plauso incondizionato delle stesse. Ma è davvero così? Secondo i sostenitori di Zelensky la vicenda dimostra la maturazione democratica dell’Ucraina con la società che ha reagito a un errore di un governo sotto pressione da 3 anni e mezzo per la guerra e lo stesso governo che prontamente ne ha posto rimedio.

Secondo i detrattori si tratta invece dell’esatto contrario, e cioè che la vicenda è solo l’ultimo capitolo della parabola di un governo mosso dalla tentazione autoritaria e che nel caso specifico ha deciso di limitare i margini di indipendenza delle agenzie anticorruzione quando le stesse hanno iniziato a interessarsi alla cerchia ristretta di Zelensky, in particolare all’ex vice primo ministro Oleksiy Chernyshov. La scusa utilizzata dal presidente è stata la stessa che gli ha permesso di mettere fuori gioco parte dell’opposizione, cioè quella di tenerle lontane dalle possibili ingerenze russe. Una scusa giustificabile quando a inizio guerra ha messo fuori legge gli 11 partiti filorussi, un po’ meno quando ha iniziato ad accanirsi contro uno dei suoi principali oppositori, l’ex presidente Poroshenko, sanzionato a inizio anno dal governo con l’accusa di aver «guadagnato miliardi svendendo l’Ucraina».

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In questi annidi poteri speciali dovuti allo stato di emergenza i licenziamenti, le decapitazioni ai vertici di agenzie e ministeri senza spiegazioni non si contano. Il rimpasto è diventata la cifra stessa del governo che continua a cambiare per non cambiare nulla. L’ultimo è avvenuto qualche giorno prima delle vicende sulle due agenzie anticorruzione ed è un rimpasto che dovrebbe servire a dare il benvenuto alla nuova linea trumpiana sulla guerra e contro la Russia. Il cambio più vistoso è stato quello sul ruolo di primo ministro tenuto per 5 anni dal fido Denis Shmyhal che è passato alla Difesa. Il suo posto è andato a Yulija Svyrydenko, già vice-premier e persona di fiducia di Andrij Yermak, capo dell’amministrazione presidenziale e uomo di punta delle relazioni ucraine con gli Usa, colui che ha guidato le trattative per l’accordo sulle terre rare. Silurata invece l’ambasciatrice negli Usa Oksana Markarova. Il rimpasto tuttavia sembra non sia stato sufficiente a evitare malumori a Washington e nelle cancellerie europee quando Zelensky ha firmato la legge sull’autonomia delle agenzie e la successiva ribellione popolare. In particolare è stata l’Europa a prendere posizione congelando silenziosamente 1,5 miliardi di aiuti in attesa che Kiev dimostri con i fatti di aver ripristinato l’indipendenza delle agenzie stesse. La questione è vitale per l’Ucraina, perché oltre alla questione delle forniture di armi e dei finanziamenti, c’è quella dell’entrata nella Ue che richiede un percorso netto, in cui la lotta alla corruzione ha un ruolo fondamentale.

Non a caso la Von der Leyen ha fatto anche la mossa di chiamare Zelensky per chiedere spiegazioni ma in Ucraina c’è chi punta il dito contro Bruxelles. Si dice infatti che se il presidente si è permesso di andare troppo oltre la colpa è anche di chi in questi anni lo ha acriticamente sostenuto senza mai intervenire anche quando ha dimostrato di non essere un fan della democrazia. E l’unico intervento della Ue è avvenuto quando non ne poteva fare a meno, cioè quando il popolo è sceso in piazza mettendo a rischio l’esistenza stessa del governo.

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