Emmanuel Macron umiliato dagli Usa: come si è fatto fuori da solo

di Alberto Doineldomenica 10 agosto 2025
Emmanuel Macron umiliato dagli Usa: come si è fatto fuori da solo

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Emmanuel Macron non solo non è riuscito a creare la “dinamica collettiva” tanto auspicata attorno al riconoscimento della Palestina come Stato autonomo e indipendente, ma continua a collezionare schiaffi diplomatici sulla scena internazionale. In un’intervista alla rete cattolica Ewtn, nel quadro della trasmissione The World Over with Raymond Arroyo, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha affermato che l’annuncio del presidente francese di riconoscere uno Stato palestinese (il riconoscimento ufficiale avverrà a settembre nel quadro della sessione annuale dell’assemblea generale delle Nazioni Unite) ha portato al fallimento dei colloqui per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, rafforzando il gruppo terroristico palestinese. «I colloqui con Hamas sono falliti il giorno in cui Macron ha preso la decisione unilaterale di riconoscere lo Stato palestinese», ha dichiarato Rubio all’emittente televisiva americana. 

«Poi si fanno avanti altri Paesi e dicono: “Beh, se non c’è un cessate il fuoco entro settembre, riconosceremo uno Stato palestinese”. Se fossi Hamas, concluderei sostanzialmente che se non facciamo un cessate il fuoco potremmo essere ricompensati, potremmo considerarlo una vittoria. Quindi quei messaggi, sebbene in gran parte simbolici nella loro intenzione, in realtà hanno reso più difficile ottenere la pace e raggiungere un accordo con Hamas», ha proseguito Rubio. Alla stregua del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ma anche dei rappresentanti della comunità ebraica francese, il segretario di Stato americano è convinto che la decisione precipitata di Macron abbia fatto fallire i negoziati per la liberazione degli ostaggi israeliani, nelle mani di Hamas dal 7 ottobre 2023, e dato un nuovo slancio a Hamas. «La creazione di uno Stato palestinese non è una questione realistica: è impossibile definirne i confini o sapere chilo governerebbe. Uno Stato, o anche solo una regione autonoma, può essere istituito solo se è possibile determinare chi ne assicurerà il controllo», ha dichiarato Rubio a Ewtn. 

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Per quest’ultimo è chiaro che non ci sarà mai pace a Gaza finché esisterà Hamas, perché il movimento terroristico palestinese ha un solo obiettivo: quello di distruggere Israele e espellere tutti gli ebrei dal Medio Oriente. Ieri mattina, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha firmato una dichiarazione congiunta con i ministri degli Esteri di Regno Unito, Germania, Australia e Nuova Zelanda per respingere con forza la decisione del Gabinetto di Sicurezza israeliano dell’8 agosto di lanciare un’ulteriore operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza. L’operazione «aggraverà la catastrofica situazione umanitaria, metterà in pericolo la vita degli ostaggi e aumenterà il rischio di un esodo di massa dei civili», hanno denunciato i capi della diplomazia dei cinque Paesi, prima di aggiungere: «Qualsiasi tentativo di annessione o espansione degli insediamenti vìola il diritto internazionale». Non sarà sfuggito che il grande assente tra i primi cinque Paesi che hanno firmato il documento è la Francia, e secondo fonti di Libero il ritardo nella firma sarebbe un capriccio dell’inquilino dell’Eliseo, irritato dal fatto che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, abbia proposto Roma e non Parigi come possibile sede dell’incontro con Putin, prima del rifiuto di quest’ultimo. 

La firma della Francia, assieme a quella del Canada e della Norvegia, è arrivata solo nel pomeriggio, dando l’immagine di un Occidente spaccato, che avanza in ordine sparso. «Il rischio è che una buona intenzione possa trasformarsi in un boomerang, una dimostrazione al governo israeliano che l’Occidente è troppo diviso per adottare una politica di contenimento delle sue azioni nei territori palestinesi», ha commentato ieri una fonte diplomatica italiana all’Agi. Il ritardo francese nella firma, di certo, non ha facilitato le cose. L’altro fronte internazionale su cui Macron avrebbe voluto giocare un ruolo di primo piano è quello libanese. Giovedì il governo di Beirut ha approvato il piano statunitense che prevede, in quattro fasi, il disarmo di Hezbollah, il partito -milizia filoiraniano profondamente indebolito dall’ultima guerra con Israele, la fine degli attacchi israeliani contro il Paese e il ritiro dell’Idf dalle zone che ancora occupa nel Libano meridionale. 

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L’inviato americano a Beirut e attuale ambasciatore in Turchia, Tom Barrack, si è congratulato con i leader libanesi “per aver preso questa settimana la decisione storica, coraggiosa e corretta di iniziare a dare piena attuazione” al cessate il fuoco di novembre, che ha posto fine a oltre un anno di ostilità tra Hezbollah e il vicino Israele. La notizia della decisione del governo di Beirut di disarmare Hezbollah avrebbe voluto darla l’inquilino dell’Eliseo. Che deve invece a rassegnarsi, ancora una volta, al ruolo di mero spettatore, ad applaudire chi conta veramente, gli Stati Uniti e il loro grande alleato nella regione l’Arabia Saudita.